mercoledì 21 gennaio 2009

CATENE D'ODIO

La Storia, quella con la "s" maiuscola, sembra riproporsi, incessante, nelle nostre televisioni. Come un film già visto, una pellicola che gira a vuoto davanti ad una sala di manichini che fissano lo schermo, sorridenti e indifferenti. I bimbi che in questi giorni sono sotto le bombe di Israele sono i nipotini di quelle persone che furono portate, contro la loro volontà, in quella piccola striscia di terra che è Gaza nel 1948. Quello che vediamo adesso è solo una delle tante fasi che hanno caratterizzato lo scontro arabo-israeliano da quel momento in poi: c'è stata la crisi di Suez, c'è stata la "guerra di 6 giorni" e Yom Kippur, c'è stata l'Intifada, ma l'occupazione israeliana di Gaza è finita ufficialmente solo quattro anni fa, nel 2005. Da quel momento Israele ha continuato sulla Striscia una occupazione indiretta attraverso un controllo per l'accesso e l'uscita dall'area, tutte le relazioni commerciali di import ed export, se non un controllo militare terrestre e aereo atto a, così si dice, garantire il benessere della popolazione civile. Dall'altra parte ci sono i terroristi di Hamas, un'organizzazione religiosa islamica palestinese di carattere paramilitare e politico. Essa attualmente detiene la maggioranza di seggi nell'Autorità Nazionale Palestinese, un'istituzione stabilita per disciplinare il controllo di determinate aree nella Striscia di Gaza ed in Cisgiordania. Fu proprio questo successo elettorale di Hamas a spingere Israele, con gli Stati Uniti e l'Unione Europea, a strizzare ancor di più il collo alle poche libertà che restavano sulla Striscia, portando tutte le conseguenze sociali che si possono immaginare. Il cessate-il-fuoco di giugno scorso era diretto a fermare i missili da una parte, ed a mollare la presa, fermando il blocco, dall'altra. Il cessate-il-fuoco è arrivato, ma solo per pochi mesi, infatti a novembre un ulteriore attacco israeliano, per vie aeree e terrestri, portò all'uccisione di sei soldati di Hamas. Il conflitto è ripreso fino ad oggi, in cui pare vi sia uno scorcio di luce in un ennesimo tunnel che pareva non finire più. Dall'inizio della guerra, perché così è il caso di chiamarla, le cifre parlano chiare: più di 700 civili palestinesi e 12 (tra civili e soldati) israeliani sono morti nel conflitto. Il seme dell'odio è stato piantato ancora una volta, adesso germoglia e continua a scavare in quella voragine che è stata aperta 60 anni fa. L'unica soluzione oggi è quella di far capire, ad Hamas ma ancor più ad Israele, che l'unica via restante tra le macerie è quella che vuole la gente, musulmani ed ebrei: la via della pace. Gli israeliani non possono più di vivere tutti i giorni con la paura di morire dentro qualche attentato, di non sentirsi più sicuri nemmeno di prendere un tram e giustificare, in modo sbagliato, questo intervento. I palestinesi non vogliono più morire sotto le bombe di un esercito costretto a far fuoco sui civili ed in cerca, non si capisce come, del fantasma del terrorismo. Pensare di mettere fine al terrorismo di Hamas bombardando i civili, crea dal mio punto di vista, un effetto boomerang altamente controproducente. Il terrorismo vive grazie alle diverse migliaia di unità che si arruolano ogni anno perché mosse da ideologie ed estremismi, da odio verso il nemico. Un pozzo incessante di arruolati il terrorismo lo ha trovato, e lo troverà ancora se non si spezzerà questa catena, tra i familiari delle vittime di questa guerra, creando un circolo vizioso senza fine. Non è il primo teatro in cui succede una situazione analoga. Prendendo una posizione di parte e che non trova fondamenti storici, la nostra classe politica tutta rende vano qualsiasi dialogo e tentativo di pace tra le parti, spogliando di ogni senso gli aiuti umanitari (siano questi in cibo o in medicinali) che le varie associazioni no-profit cercano di costituire in tutta l'area. La pace, ancor prima di trovarla, bisogna volerla.

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