domenica 1 febbraio 2009

SHANGHAI

In Italia, a differenza di tutti gli altri paesi europei, parlare di certe cose è un reato punibile con lo scandalo. In Italia si galleggia in una sorta di meno peggio, per cui qualsiasi idea diversa è vista per abitudine come il peggio. Provo una sorta di imbarazzante invidia nel sentire il presidente della destra francese Sarkozy che, nel mese di gennaio 2008, ha dichiarato di voler attuare delle riforme alla televisione pubblica dirette ad alzare il livello culturale del palinsesto, eliminando tutti i criteri di mercato che la pubblicità necessariamente impone. La riforma proposta è infatti quella di eliminare la pubblicità dalla televisione pubblica francese, sanando il deficit con un aumento delle tasse alle televisioni private (le quali, per altro, vedrebbero un incremento degli introiti pubblicitari) ed una tassa infinitesimale sul volume d'affari dei nuovi mezzi di comunicazione, come internet o la telefonia mobile. Al di là delle modalità e delle eventuali perfezioni, la proposta mi sembra sacrosanta, oltre che utile. Nella finanziaria del 2007, voglio ricordare, era contenuto un tetto massimo di 250 mila euro annui per gli stipendi dei presentatori RAI, il quale aveva suscitato le più feroci critiche anche da parte dello stesso Cappon che, preoccupato per le sorti dei vari Simona Ventura, Bruno Vespa, Michele Santoro, Pippo Baudo, Carlo Conti, Milly Carlucci, Piero Angela, etc etc, aveva messo in guardia dalla possibile emigrazione di questi "insostituibili big" alle reti private e dell'impossibilità del rispetto di tale limite, decisamente superato dagli enormi stipendi che la RAI assegna a questi pochi fortunati (si parlava di 1 milione di euro annui a Simona Ventura e 800 mila a Carlo Conti, per citarne due). Se si vuole operare nel senso di una riduzione degli sprechi che non comprometta altri settori della vita pubblica (quali ad esempio l'istruzione, di cui siamo tutti beneficiari), se si vuole anche puntare ad una progressiva riduzione del canone e ad avere una televisione di qualità, di cultura, di sano intrattenimento che dia spazio pure ai giovani, mi sembra utile invece una imposizione di tale limite agli stipendi dei dipendenti/presentatori, i quali si dicono così attaccati al piccolo schermo nazionale. Parallelamente si può operare verso l'eliminazione di una pubblicità che, per i motivi più svariati, si affida a format sempre più scadenti, che puzzano di vecchio e tendono volontariamente a tener distante ogni stimolo di modernizzazione, pericoloso per le sorti di ogni forma "oligarchica" all'interno della casta televisiva. In Italia, invece, si gioca a shanghai, per cui togliendo un bastoncino di legno si rischia di trovarsi davanti ad un altra serie di problemi apparentemente irrisolvibili. Pensiamo a come potrebbe insorgere questa elité ad una proposta simile, ove vedessero minacciato il loro dominio e i loro introiti, nonchè la possibilità di ereditare il loro posto a figli ed amici. Pensiamo (senza entrare in questo articolo nella discussione sul conflitto d'interessi) a chi invece vorrebbe, nel nome dell'eliminazione del canone, rendere privata la televisione pubblica, subordinando la qualità delle reti alle logiche di mercato, riducendo l'informazione (che in pochissimi casi ancora c'è) alla quotidiana campagna elettorale di un qualche altro imprenditore/politicante ed ai suoi bisogni. Sia chiaro, non intendo generalizzare, poichè credo che in pochi casi la buona televisione ancora ci sia, ma credo ancora una volta che la potenzialità di produrre un'inversione di tendenza sia nelle mani dell'opinione pubblica e di chi, per essere chiari, ha in mano il telecomando.

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