lunedì 15 febbraio 2010

MULINI A VENTO

Non mi reputo un esperto di ciò che succede fuori dai confini dell’Italia, ma in questi giorni (e forse anche prima) mi è affiorata una sensazione tanto forte quanto tragica: negli altri paesi europei, occidentali e democratici o presunti tali, non vi è la corruzione che impera nella nostra amata penisola. “Hai scoperto l’acqua calda”, direte voi, ma l’interrogativo che mi pongo qua riguarda soprattutto la nascita di questo sistema corrotto e, se vogliamo, della sua giustificazione. Tutto ha inizio quando ci si accorge, negli ambienti dei salotti politici, che la posizione privilegiata di alcune cariche permetteva, in primis, un arricchimento privato e un allargamento dei confini del proprio potere. L’avventura di Tangentopoli è stata l’apice, nella Prima Repubblica, di questo modello di corruzione e malaffare, ma oggi si può dire che quella che ci è sembrata una rottura con il passato, a cui abbiamo dato il nome di “Seconda Repubblica”, altro non è che il prolungamento naturale di quella esperienza. Percorrendo a ritroso il suo iter, le vicende di Bertolaso, degli appalti e delle massaggiatrici, sono solo le ultime di un lungo susseguirsi di criminalità, gossip, “calciopoli” e “vallettopoli” di ogni genere. Circoscrivendo la nostra analisi e rivolgendo il nostro sguardo al confinato mondo dell’Italia dal ’94 ad oggi, possiamo stabilire che il punto d’inizio, l’origine di tutto questo, sta nel grande concordato Stato-Mafia di cui molto si sapeva ma che, per le recenti dichiarazioni dei pentiti, sta venendo alla luce in modo più chiaro solo negli ultimi tempi. Apro una piccola parentesi: le parole di un qualsiasi pentito, chiunque esso sia, devono sicuramente essere pesate ed accertate, ma ciò non esclude l’importanza che esse hanno sempre rivestito nelle indagini, anche se a pronunciarle sono stati pericolosi criminali (ma ovviamente l’informazione sposta il target dalla “dichiarazione” al “dichiarante”, come successe nel caso della D’Addario). Chiusa parentesi. Fino a questo punto niente di nuovo sotto il sole, ma se scaviamo in profondità rispetto tutti questi avvenimenti si può scorgere da lontano quale sia la base, quali siano le fondamenta di questa ragnatela in cui tutti noi, comuni cittadini, siamo rimasti ingabbiati. Lasciamo per un attimo questo aspetto, ci torneremo dopo, e facciamo un passo avanti negli anni. Sia chiaro: questo è un gioco che coinvolge tutti, da Destra a Sinistra, nessuno escluso, anche se dal mio punto di vista con un diverso approccio. Mentre a Sinistra un qualsiasi sospetto si trasforma, forse per decenza, forse per coerenza, forse per necessità (poi capiremo perché), in una istantanea dimissione e una immediata sottoposizione ai processi, a Destra si tende sostanzialmente a fare l’esatto contrario. Tutto ciò smentisce quella che io definirei “la grande bugia”, questa volta in chiave post-fascista e parafrasando Giampaolo Pansa, su cui si fonda quella che invece è stata perfettamente descritta avantieri da Ezio Mauro su La Repubblica come “la grande deroga” di Berlusconi a questo sistema e a tutti coloro che ne fanno parte. “La grande bugia” altro non è che l’idea che parte della Magistratura, o l’intera totalità di essa visto i continui riscontri, sia politicizzata ed usi il proprio ruolo istituzionale a scopi strumentali. Dico che le indagini sulla Sinistra italiana (ne potrei citare alcune come la sanità barese, la scalata delle banche, il caso Marrazzo, a suo tempo Mastella & famiglia) smentiscono questa copertura poiché creano uno strano contraddittorio ed un’ambigua visione delle cose. Da una parte si dice che la Magistratura voglia minare a senso unico il potere di Berlusconi, attaccandolo su più fronti; dall’altra si insiste con l’idea che una riforma della Giustizia (intesa come uno spogliarla dei suoi poteri di bilanciamento) possa servire a tutti, Sinistra compresa. Nel primo caso non si spiegano i processi condotti a carico degli esponenti di Sinistra, mentre nel secondo caso si disegna uno scenario in cui la Magistratura risulta divisa tra Destra e Sinistra e la si usa per incastrare gli avversari politici sporcando l’immagine di personaggi importanti all’interno dei due schieramenti. Una terza visione, piuttosto faziosa, è quella che vede una parte della Magistratura politicizzata perseguitare l’attuale Presidente del Consiglio e tutti i funzionari da lui designati, mentre la restante parte libera da ogni principio politico fa il suo mestiere e, quindi, indaga sulle mele marce di PD e alleati. Lascio a voi ogni commento su questo quadro fiabesco poiché mi preme tornare alla realtà dei fatti proseguendo il percorso che avevamo interrotto, cercando di capire come sia possibile che, all’interno di un paese in cui il malessere generale è imperante, tastabile, si respira nell’aria e si taglia a fette, possa invece trovare credito una tale visione delle cose e possano trovare giustificazione tutte le pedine che fanno parte di questa macabra scacchiera. Ci possiamo quindi ricollegare a ciò che avevamo lasciato in sospeso qualche riga più indietro, ed in particolare per quel che riguarda i rapporti tra lo Stato e la Mafia che si vennero a delineare subito dopo la nascita della Seconda Repubblica (o presunta tale). Tra le tante cose che sono emerse, una in particolare risulta centrale per poter capire e captare il senso di questa idea: il controllo del nascente partito di Forza Italia sulle maggiori reti televisive nazionali. Il continuo ampliarsi del potere del padrone ha poi fatto sì che la sua influenza penetrasse, come una sorta di virus servilista, anche nelle televisioni pubbliche e che queste si allineassero, salvo rarissime eccezioni, con la linea del partito. Non credo che l’Italia sia un paese di stupidi (non tutti, almeno), ma tutta una serie di condizioni sociali che per motivi di spazio non è semplice analizzare in questa sede, parallelamente al peso sempre maggiore che i mass-media hanno rivestito in tutte le realtà occidentali, riescono a posizionare “la grande bugia” come un’ipotesi plausibile. Si badi bene: il potere dei mass-media non si limita ad indirizzare i voti in quella “democrazia autoritaria” di cui Giorgio Bocca ci illustrava splendidamente i tratti essenziali, ma opera anche una più complessa trasformazione culturale che coinvolge necessariamente la nostra società, dai modelli di consumo fino alla distinzione di ciò che è giusto e ciò che non lo è. Se prendiamo come punto centrale proprio il controllo dell’informazione, dai TG fino ai talk-show pomeridiani, e l’intrecciarsi di questa con le cariche politiche, secondo me possiamo dare facile risposta a molti degli interrogativi che si pongono in questi ultimi anni in Italia. Pensiamo, ad esempio, alla crisi ed al declino della Sinistra italiana, su cui tanto si è detto e sulla quale ricadono pesanti come macigni delle enormi responsabilità interne (la mancanza di un leader e le divisioni interne, prima di tutto): non è possibile comprenderla appieno se non la si situa in un contesto politico in cui il controllo politico sull’informazione è quasi interamente a senso unico. “Si combatte con i mulini a vento”, si potrebbe dire. Ecco perché, non avendo altro appoggio se non quello dei giornali di partito, tutti i Segretari PD si trovano periodicamente a dover fare i conti con inchieste giudiziarie rivolte a membri interni al partito stesso, senza avere però dalla loro parte (per fortuna, immaginate se anche loro ne avessero l’occasione) la possibilità di mentire davanti agli italiani. Da qua la necessità delle dimissioni o, nel migliore dei casi, i continui vezzi da parte del Centro-Destra su riforme della Giustizia condivise ed un’opposizione flebile. Berlusconi ed il suo entourage questo lo sanno bene, per questo cercano in modo costante di allontanare il partito condotto da Bersani il più lontano possibile dall’orbita dipietrista, che condanna a spada tratta questa logica, cercando di trovarne il consenso, utile a lasciare l’Italia intrappolata nei suoi sprechi e nei suoi clientelismi, in cambio magari di qualche “massaggio terapeutico”.

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