sabato 28 maggio 2011

SAPETE CHE COS’è L’AMORE, QUELLO VERO?


«Avete mai amato così profondamente da condannare voi stessi all’inferno, per l’eternità?»
Parigi, inizio 1900, la belle époque. Questa è l’ambientazione in cui Mick Daves racconta gli ultimi anni di vita di Modigliani, pittore e scultore, morto nel 1920, noto come Modì e interpretato da un indubbiamente brillante Andy Garcia. “I colori dell’anima” vuole essere un film bio-pic, ma tutto può essere, tranne che questo. Ciò che viene messo in primo piano è l’amore, la follia e l’eccesso, una società ostile, a discapito della pittura e dell’arte. Il film comincia con l’immagine di Jeanne in dolce attesa (Elsa Zylberstein), compagna del pittore, sul ciglio di una finestra, pronta a buttarsi di sotto, improvvisamente pervasa da un flashback, grazie al quale ricorderà gli ultimi suoi anni di vita con Modigliani.
Si racconta di un artista malato di tubercolosi a cui vengono diagnosticati pochi anni di vita, ma che, nonostante questo, apparentemente disinteressato ad essa, continua a bere e fumare. Si racconta del conflitto con Picasso, che nella realtà pare non sia mai esistito (ecco una delle varie incongruenze con la realtà del film), dettato da continue gelosie e sfide. Si racconta della sua natura di ebreo, a causa della quale, non viene accettato dal padre di Jeanne, antisemita e bigotto, che farà di tutto per  allontanare la loro figlia. Si racconta dell’intenso amore tra Modì e Jeanne che da lui viene considerata quasi una musa, disposta anche a sopportare che sua figlia le venisse strappata dalle braccia, pur di stare con lui. Si sfiora il tema della pittura, raffigurando un Modì che dipingeva gli occhi, solo nel momento in cui conosceva l’anima della persona, immagine lontana dall’idea reale di un Modigliani così ispirato, che non ritoccava mai i suoi dipinti; eppure, chi posava per lui, diceva che essere ritratti da Modì era come farsi spogliare l’anima. Si racconta di un uomo, ossessionato dal passato, che rivede il bambino che è stato, in cui, da subito, sbocciava l’arte. Si racconta di altri pittori, amici di Modì, che in quell’inizio secolo, facevano di Parigi la capitale indiscussa dell’arte, come Rivera, Soutine, Jacob, Cocteau. Il comportamento dei pittori, la permanenza a Parigi, il viaggio in Costa Azzurra , la visita a Renoir, vengono portati all’estremo, situazioni rivisitate e rese eccessive, quasi come se tutto venisse influenzato dall’animo di Modì. Più si fa attenzione ai dettagli, più ci si rende conto delle incongruenze con la storia: il pittore e Jeanne ballano per strada sotto le note di “La vie en rose”, cosa impossibile in quanto la canzone venne scritta negli anni ‘40; nella vita, Modigliani aveva un rapporto importante anche con altri pittori, tra cui Chagall, mentre nel film appare particolarmente distaccato; tra le opere che vengono esposte nel concorso, l’unica che è stata realmente dipinta, è quella di Soutine “Il bue macellato”, che però fu realizzata nel 1923, tre anni dopo;  Modì era anche uno scultore, mentre è stato rappresentato solo come pittore; e tra le più irrilevanti, Picasso nel film dipinge con la mano destra, mentre in realtà era mancino. Queste non sono le uniche incongruenze del film e gli unici motivi per i quali esso non può rientrare nel genere bio-pic;  ma tutto ciò che viene raccontato, tutte le situazioni che sono state romanzate, sono servite a Mick Davis per girare un film che vale la pena vedere, un film sull’amore struggente, sull’eccentricità dell’uomo e il suo egoismo, insomma, 127 minuti non buttati, ma che ti prendono l’anima.
Recensione Film - “I colori dell’anima”

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