mercoledì 7 marzo 2012

L’OPERARIO IN PRIMA PAGINA? di Gabriele Ainis


Paese democratico, il nostro, tanto che se muore un operaio finisce in prima pagina e tutti si interrogano sul perverso meccanismo che ne ha causato la scomparsa. Sì, esatto: scomparsa. Siamo troppo sensibili per l’uso di una parola terribile come morte, molto meglio un eufemismo altrimenti potremmo pensare che davvero le persone finiscono sotto terra per essere mangiate dai batteri aerobici e anaerobici, prima di finire nelle fauci di un lungo elenco di insetti e vermi deputati alla bisogna.

Comunque, lasciamo perdere i dettagli: visto che bravi, che senso civico? Un uomo sottopagato crepa sotto un traliccio del baraccone richiesto da uno dei riti collettivi caratteristici dei nostri tempi (un concerto della Pausini) e scoppia subito il caso, senza esitazioni e distinzioni politiche o ideologiche. Tutti d’accordo: politici, intellettuali, giornalisti, preti e semplici cittadini intervistati per la via; denuncia, stupore, sconcerto, cordoglio, indignazione.

Risultato? Tra una settimana (ma che dico, un paio di giorni) quel poveraccio sarà scomparso per davvero (in attesa che batteri e insetti svolgano il proprio mestiere fino in fondo) e tutti ritorneranno alle questioni serie: chi sarà a lasciare l’Isola dei Famosi? E Buffon? Deve restare il portiere della Nazionale di Calcio oppure essere rimosso dalla fondamentale carica istituzionale? La crisi dell’Inter? La farfalla di Belem? Celentano?

Sì, è vero, sono un mucchio di banalità: lo sappiamo tutti che ci sono i poveracci che scompaiono ogni santo giorno per una manciata di euro all’ora, come sappiamo che la crisi che ci attanaglia è dovuta principalmente al fatto che i poveri di ieri lo sono oggi un poco meno.

Come: questa cosa è meno chiara della precedente? Non ho capito un accidente ed è l’esatto contrario perché stiamo diventando sempre più poveri?

Vediamo di capire bene: sappiamo che ci sono gli immigrati senza permesso di soggiorno uccisi dai ponteggi privi delle necessarie sicurezze, mentre impilano i mattoni (e ce ne freghiamo perché non vanno in prima pagina)? Si!

Sappiamo che i poveri del mondo, quelli che ci portano via il lavoro, stanno diventando meno poveri (e crepando anche loro)? No?

Eppure non è così difficile come vorremmo far credere, perché non sono né invisibili né lontani: sono proprio là dietro la porta di casa e sono loro, ciascuno di loro, che sta provocando la moria delle nostre aziende, quella che tanto ci preoccupa.

Dove? Basta passare la frontiera: qualcuno ha mai sentito parlare della Slovenia? Uno stipendio mensile di quattrocento euro è considerato un buon affare, laddove da noi si grida (giustamente) allo scandalo. Qualche chilometro più in là, ecco la Serbia (trecento euro e si balla di gioia) e, se abbiamo voglia di viaggiare, possiamo spingerci fino alla lontana India, enorme paese in crescita in cui uno stipendio mensile di cinquanta euro è considerato una meta da sognare. Pensione, sicurezza sul lavoro, assistenza medica, emissioni mortifere, inquinamento? Ma non diciamo sciocchezze: tutti lussi che questa gente non pretende perché ha una storia di fame vera dietro la schiena, parola di cui abbiamo perso il significato e che non provoca più l’angoscia che meriterebbe.

Per cui: di chi è la colpa della nostra crisi se non delle persone che accettano di sopravvivere con cinquanta euro al mese per la manifattura delle nostre camicie, scarpe, calze, telefonini, tivvù, computer, tablet e in definitiva di tutto ciò che consideriamo essenziale per il nostro essere ciò che siamo? Certo, la FIAT preferisce andare in Serbia che non produrre a Mirafiori, ma solo perché nell’ex blocco socialista le persone cercano di ovviare alla terribile micragna del passato accettando ciò che permette loro di vivacchiare meglio di ieri: ciò che dobbiamo capire è che i pochi euro mensili dell’India sono un miglioramento della situazione precedente, quindi, a questo mondo, c’è chi è ben contento di guadagnarli e lo considera un indubbio progresso, un miglioramento del proprio tenore di vita!

Sì, lo so che è difficile da credere, ma è anche la verità. Chi ha sulla schiena un numero di lustri sufficiente per ricordare le campagne di raccolta fondi per la fame nell’India (chissà se davvero è rimasto nella nostra memoria collettiva, in fondo non sono passati troppi anni) non ha difficoltà a considerare che qualunque cosa è meglio che non morire di fame, ma non nel senso metaforico passato ormai nel nostro lessico condiviso (morto di fame è colui che non può permettersi di spendere nel superfluo) quanto in quello letterale del termine: non avere cibo a sufficienza per evitare di morire.

Ops! Guarda un po’ che nella foga del discorso mi è scappata di nuovo una parolina sgradevole. Pardon, spero non accada più.

Dunque?

Che dire: seguendo il filo del discorso, parrebbe proprio che l’operaio deceduto nell’incidente per il montaggio del palco della Pausini l’abbia ucciso un qualche operaio indiano, ben felice di guadagnare trentacinque euro al mese perché, se non ci fosse lui, brutto cattivo!, le camicie ce le faremmo in Italia pagando stipendi dignitosi e gli operai che montano i tralicci per i concerti pretenderebbero ben altre garanzie di sicurezza, senza rischiare la vita per due soldi, costretti a farlo dalla pressione di tutti coloro che, pur di avere uno stipendio, accettano di vendere (a poco) la propria vita.

Provo a dirlo diversamente: abbiamo mai provato a considerare che il nostro fratello indiano che guadagna cinquanta euro è contento? Certo, poiché le informazioni girano, comincerà a domandarsi anche lui se il proprio stipendio non sia un poco basso, ma per intanto sta meglio di suo padre e, se aspira a star meglio, non si pone certo il problema del ragazzo italiano morto sotto il traliccio. Perché dovrebbe farlo?

Così, finalmente, chiudiamo il cerchio: il ragazzo finito sotto il traliccio l’ha ucciso un bambino di dieci anni che vive accanto ad un telaio in un qualche luogo sperduto del medio oriente e produce tappeti di pessima qualità per le televendite. Meno male che noi non ci facciamo sfuggire nulla e lo mettiamo in prima pagina.

Chi, Il bambino? Ma no, accidenti, il ragazzo morto sotto il traliccio, no? Lavorava per la Pausini, accidenti, possibile che non l’abbiate capito?

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