domenica 26 agosto 2012

"PAURA, STIGMA E CONTROLLO SOCIALE SUI ROM" di Norma Baldino



La vicenda delle case ai Rom sta trasformando il già controverso “problema zingari” in una verità indiscutibile, capace non solo di espandersi maggiormente nutrendosi degli stereotipi che l'hanno generato, ma di promuovere accesi dibattiti tra politici locali, giornalisti e lettori che reclamano disinformazione. Se le autorità locali sono più o meno costrette ad affrontare la questione rom, data non solo la loro presenza nel territorio ma anche le continue “lamentele” dei cittadini e devono, quindi, rispondere alla loro domanda di “assistenza” per quella che è considerata una situazione di pericolo, i canali di informazione si pongono al centro del circuito tra senso comune e iniziative politiche per risolvere l'emergenza.

Nel corso di questi giorni le informazioni relative all'inclusione dei Rom sono state soggette a una grande variabilità; la stampa quotidiana viene incolpata di fomentare ondate di razzismo attraverso titoli istigatori e il Sindaco Zedda di aver mal gestito la comunicazione, senza spiegare ai cagliaritani i particolari della sua operazione per affrontare lo sgombero del campo della 554 e la risistemazione dei suoi “ospiti”. 

Le cronache degli ultimi giorni relative ai rom sono colorate da cicliche ondate di allarme mediatico a carattere locale: si è parlato di ville di lusso, poi di casolari abbandonati non tanto diversi dalla precendente situazione di degrado, si è fatta confusione tra affitti a carico del Comune attinti dal bilancio e fondi Regionali indirizzati al progetto d'inclusione. Si tratta di una concentrazione di notizie negative, che comunicano un'immagine dei Rom come problema sociale. “Allarme”, “sicurezza” e “povertà” sono divenute le preoccupazioni dominanti dei cittadini, grazie ad un meccanismo che è riuscito ad unificare l'opinione pubblica e mediale. “Emergenza” e “integrazione” sono i termini maggiormente utilizzati negli articoli di cronaca locale, tanto da riuscire a farne il tema del momento; “insicurezza” è la cornice che avvolge il discorso sui rom e la loro inclusione sociale. E' così che “il problema Rom” acquista visibilità e realtà grazie al rilievo ottenuto, perchè di Rom si parla soltanto in termini di emergenza da risolvere. 

Eppure di emergenza già si parlava dalla metà degli anni Ottanta, quando anche il consiglio Regionale della Sardegna, allineandosi alle altre Regioni italiane, varò la legge 9/88 per la “tutela dell'etnia e della cultura dei nomadi” meglio conosciuta come Legge Tiziana, dal nome di una piccola romnì morta di broncopolmonite in un campo della periferia di Cagliari. Così a livello locale la domanda di sicurezza trovava risposta nella costruzione di campi nomadi, spazi protetti giustificati dalla comune credenza che il nomadismo fosse il tratto caratterizzante dell'etnia Rom. In realtà, in nome di una tutela, il campo nomadi rappresentava (e continua a rappresentare ancora oggi viste le polemiche relative agli alloggi) l'unico luogo permesso al popolo rom, perchè distante dalla società dominante e in quanto zona su cui esercitare un controllo secondo norme create da specifici gruppi sociali che tutelino la sicurezza dei cittadini. Inoltre, seppur nati come provvedimenti finalizzati alla tutela dei rom, le leggi si trovano, volenti o nolenti, a tutelare la cultura dei non zingari. É infatti netto lo scarto tra le abitudini di vita dei gruppi rom, ormai completamente stanziali, e quanto le leggi regionali si prefiggono di tutelare: si è tentato piuttosto di negare la complessità dei rom e ricondurla all'interno di un contenitore chiamato Campo. Ho avuto modo di constatare tutto questo nell'arco di un intero anno attraverso un lavoro etnografico nel campo della 554: ho potuto notare come nonostante il campo nomadi fosse costruito con i denari pubblici della Legge Tiziana la situazione non fosse di certo migliorata rispetto a quell'emergenza dei campi abusivi che si voleva fronteggiare. Non è stata sufficiente la semplice presenza di garanzie legislative per migliorare le condizioni di vita di coloro che, seppur presenti in Sardegna dagli anni Settanta, sono ancora considerati “ospiti”. I rom della 554 vivevano in una sorta di discarica, priva di collegamenti con il centro urbano; costretti a rispettare un regolamento fatto per tutelare le esigenze dei non-rom che li portava a non poter nemmeno ospitare parenti senza il permesso dei supervisori istituzionali del campo, e costretti a vivere tra i continui litigi dovuti alla convivenza forzata tra gruppi completamente diversi tra loro. E' chiaro che il testo legislativo fotografa una realtà profondamente mutata già dai flussi migratori giunti a partire dagli anni Novanta e a maggior ragione non riesce a rispondere ai nuovi bisogni. A distanza di più di 20 anni dall'entrata in vigore della legge regionale bisogna trarre un'amara conclusione: i principi in essa affermati non sono riusciti a scalfire il muro di indifferenza e pregiudizio che avvolge i rom nel nostro territorio. Oggi l'emergenza è quella di dover sistemare le famiglie che sono state costrette a sgomberare le baracche, e così si cerca una soluzione magari più economica rispetto ai costi annuali di gestione del campo nomadi. Ciò che appare ambiguo riguarda il modo di far fronte all'urgenza: quando si vuole “salvaguardare” il nomadismo attraverso testi legislativi di tutela, si rinchiudono in campi nomadi rom che nomadi non sono mai stati; e quando li si considera pericolosi, li si vuole sedentarizzare a forza con l'astuzia. 

In ogni caso, oggi, anche quando le autorità locali vogliono davvero risolvere i problemi delle famiglie romanés, i loro provvedimenti vengono bloccati dall'opinione pubblica o dalla popolazione locale, proprio perché imbevuti di pregiudizi. Basta far credere che sono le comunità rom che non vogliono integrarsi per aggirare la responsabilità. Ma come si possono risolvere i problemi di un popolo senza coinvolgerlo direttamente e senza creare una consulta di esperti? O come si può elevare a rappresentanti semplici “burattini” senza competenza? È forse possibile mettere sullo stesso piano laureati e semianalfabeti? Se questo si verifica significa che non c'è ancora la sincera volontà politica di migliorare le cose. È come un decidere di non decidere niente, di spostare semplicemente il problema da un contenitore all'altro. Occorrerebbe prima di tutto eliminare la credenza diffusa che ci siano cittadini di serie A e di serie B, perchè è impensabile che oggi si debba parlare di Rom in qualità di immigrati e non di veri e propri cittadini che dovrebbero godere dei nostri stessi diritti. Andrebbe rimosso il rozzo assistenzialismo che finisce per scadere sempre nel gioco del controllo sociale e dei soggetti interessati alla logica della “tutela” e a che la situazione rimanga sempre la stessa. 

[La Dott.ssa Norma Baldino è dottoranda in Sociologia presso l'Università Complutense di Madrid con tesi dal titolo: "Paura, stigma e controllo sociale sui Rom"]

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