domenica 18 gennaio 2009

DALLE BARRIERE ALLA GIUSTIZIA

Il 14 Settembre 2008, a Milano, un ragazzo originario del Burkina Faso ma cittadino Italiano, viene ucciso a bastonate da Fausto e Daniele Cristofoli, padre e figlio, proprietari di un bar, per il presunto furto di un pacco di biscotti. Le ultime parole che ha sentito Abdul Guiebre, conosciuto come “Abba”, sono state due: “sporco negro”. Per la magistratura non è razzismo. Al di là delle considerazioni di ognuno, chi sono i reali responsabili di questo omicidio? La famiglia Cristofoli, verrebbe da rispondere a qualcuno senza malizia. Dal mio punto di vista, invece, le motivazioni che hanno portato i due diretti assassini a compiere un tale gesto ed al grido di simili parole ha radici molto più lontane. Ha origini molto diverse, pur se comunque influenti, dalle ideologie che hanno animato la Seconda Guerra Mondiale e che tutt'ora fanno sentire i loro echi sui nostri modi di ragionare, di pensare, di presiedere un Parlamento. Nascono, secondo me, in quell'animo umano (e se vogliamo pure animalesco) di circoscrivere lo spazio attorno a noi stessi, alzando delle fantomatiche barriere che ci proteggano dall'”altro”, dai suoi eventuali attacchi, mettendoci al riparo prima che sia lui a farci del male, soprattutto se diverso. Il pericolo, il rischio, hanno la loro valenza all'interno di una società nel momento e nella maniera, nella misura, in cui vengono percepiti e “codificati” dalla società stessa. La paura del rischio e il pericolo hanno trovato terreno fertile in una società in continuo cambiamento, le cui barriere nazionali sono state sconvolte dalla globalizzazione, lasciando inerte e in totale confusione un paese come l'Italia, dimostratosi incapace di scegliere dinanzi a tutto questo trambusto economico e sociale. Il diverso è quindi diventato il capro espiatorio del precariato, delle pensioni minime, dell'inquinamento e del degrado, della confusione sui tram e nelle metropolitane, insomma delle nostre incertezze future. La paura alimentava l'odio, l'odio alimentava la paura, da una parte e dall'altra, dalla vittima al carnefice, chiunque essi siano. É un po' la stessa tesi che sostiene il sociologo Zygmunt Bauman, nella prefazione che ha scritto per il saggio “Amore per l'Odio – La produzione del male nelle società moderne”, di Leonidas Donskis, della quale riporto qua alcuni passi:
“(...) Odiamo perché abbiamo paura; ma abbiamo paura a causa dell'odio che avvelena la nostra coabitazione sul pianeta che condividiamo. (...) Sembra che l'odio e la paura siano prigionieri di un circolo vizioso, che si alimentino vicendevolmente e traggano l'uno dall'altra l'animosità e l'impeto che li infiammano. (...) Nei tempi moderni – i tempi in cui viviamo, e soltanto nei tempi moderni – ci accade di diffondere e coltivare la paura e l'odio, e di commettere atti di violenza che tendono a esserne conseguenza, in nome di una vita migliore e pacifica, della felicità, dell'umanità, dell'amore. Di usare il male per promuovere il bene. (...) Abbiamo bisogno di qualcuno da odiare per sbarazzarci del senso devastante della nostra indegnità, sperando così di sentirci meglio, ma affinché questa operazione riesca, essa deve svolgersi celando tutte le tracce di una vendetta personale. (...) Insistiamo a dire che odiamo perché vogliamo che il mondo sia libero dall'odio. (...) A differenza delle paure del passato, le paure contemporanee sono difficili da identificare e localizzare esattamente. Abbiamo paura senza sapere da dove venga la nostra ansia e quali siano esattamente i pericoli che causano la nostra ansia e la nostra inquietudine. Potremmo dire che le nostre paure vagano alla ricerca della loro causa; cerchiamo disperatamente di trovarne le cause, per essere capaci di “fare qualcosa in proposito” o per chiedere che “qualcosa venga fatto”. Le radici più profonde della paura contemporanea – la graduale ma inesorabile perdita di sicurezza esistenziale e la fragilità della propria posizione sociale – non possono essere affrontate direttamente, poiché le agenzie ancora esistenti di azione politica non hanno potere sufficiente per sradicarle in un mondo che si sta rapidamente globalizzando. E così le paure tendono a spostarsi dalle cause reali di malessere per scaricarsi su bersagli che presentano il vantaggio di essere prossimi, visibili, a portata di mano e per ciò stesso possibili da gestire. Tali battaglie sostitutive, intraprese contro un nemico sostitutivo, non cancelleranno l'ansia, poiché le sue radici reali resteranno dov'erano, assolutamente intatte – ma perlomeno trarremo qualche consolazione dalla consapevolezza di non essere restati inerti, di aver fatto qualcosa per cercare di vendicare la nostra infelicità e di esserci visti mentre lo facevamo. La tormentosa consapevolezza della nostra umiliante impotenza ne sarà forse lenita – per qualche tempo, almeno. (...) Prendere i migranti per le cause delle proprie difficoltà e paure può sembrare illogico, ma tutto ciò riposa su una sorta di logica perversa: c'era la sicurezza del lavoro e la certezza di buone prospettive di vita, prima – ma lo scenario è cambiato sostituendovi la flessibilità del mercato del lavoro e assunzioni incerte e a breve termine, accompagnate da uno sgradevole allentamento dei legami fra le persone, e tutte queste novità si sono verificate proprio quando arrivavano i migranti. É dunque “ragionevole” presupporre che l'arrivo di questi stranieri e l'insicurezza che prima non esisteva siano connessi, e che se si obbligano i nuovi arrivati ad andarsene, tutto tornerà nuovamente agevole e sicuro come ci si ricorda che fosse (indipendentemente dal grado di correttezza del ricordo) prima del loro arrivo. (...) Le paura di oggigiorno sono generate in larga parte dalla globalizzazione (in altre parole, la nuova extraterritorialità) di forze che decidono delle questioni fondamentali riguardo alla qualità della nostra vita e alle possibilità di vita dei nostri figli. (...)”
In questa situazione hanno giocato un ruolo essenziale i giornali ed i mezzi di informazione, che piegati da logiche di vendita spesso tendono a stravolgere i fatti, arricchendoli con piccoli aneddoti gonfiati a seconda dell'occasione, ed escluse le testate ed i TG dichiaratamente faziosi, cercano di cogliere le tendenze maggioritarie all'interno dell'opinione pubblica. Un po' lo stesso gioco che fanno i cosiddetti “partiti pigliatutto”. Cosa che, visti gli ultimi innegabili fatti, sta in queste settimane virando nella direzione opposta. Lo stesso ha fatto, dal mio punto di vista, la classe politica, della quale una parte ha seguito i mass media nella loro operazione, ponendosi come target i voti per delle elezioni ormai alle porte, ma dimostrando invece una posizione incerta e una mancanza di spina dorsale che, tra le altre cose, ha influito sul risultato finale proprio perché è stata percepita fortemente dagli elettori. Un'altra parte politica, invece, ha colto l'occasione per spingere oltre ogni limite i valori che ne animano l'ideologia, ma che nessuno (o quasi, visto certe esternazioni di Bossi, Borghezio o Calderoli) ha il coraggio di spiattellare nei salotti-bene dei talk show televisivi, creando quella xenofobia celata, tipica dei tailleur e delle cravatte, capace di convincere i cittadini che vivono i drammi della quotidianità e si riscoprono ora così intolleranti. Gli stessi partiti, ora alla Maggioranza, hanno, nel corso di questi mesi di campagna elettorale e di vita al Governo, fatto trapelare l'idea che alla paura del rischio e del pericolo si debba rispondere attraverso una maggiore “sicurezza”, ed in mancanza dello Stato, si possa ricorrere lecitamente ad una “giustizia fatta in casa”, una giustizia fatta dalla gente comune, fatta di ronde per le strade, di incendi, di pestaggi ed insulti, di bambini bruciati o schedati, di CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) con esseri umani numerati ed ammassati dietro recinti, utili a non dimenticarci mai quella che è stata la furia Nazista. Insomma, una giustizia degli Italiani, totalmente anti-Costituzionale e completamente fuori da ogni tipo di controllo, una giustizia che può sfuggire di mano a chiunque ed in qualsiasi momento. Non esprimerò in questo articolo giudizi di merito, limitandomi a descrivere qual'è stato, secondo me, il percorso che ha portato a tutti i più recenti atti di razzismo nella penisola e di cui l'episodio di Abba è solo la punta dell'iceberg, ma la cui lista potrebbe continuare e, presumo, continuerà ancora.

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