lunedì 2 novembre 2009

UN'OCCASIONE MANCATA

In Italia succede qualcosa di strano. Qualcosa di anomalo, di contraddittorio, di ambiguo. Talla Ndao nasce 29 anni fa a Dakar (Senegal) dove vive con tutta la sua famiglia. La situazione economica, come quella di tanti altri ragazzi del posto, lo porta presto alla decisione di emigrare verso altri lidi più fertili, così che nel 2002 attraversa il Mediterraneo ed approda nell’isola dalle spiaggie d’oro, la Sardegna. Qua si stanzia in una piccola città di venticinque mila abitanti, Iglesias, a pochi chilometri da Cagliari. Inizialmente le risorse di sostentamento sono molto scarse, tanto da costringerlo ai lavori più umili, come quello di vendere svariate mercanzie nei periodi estivi ai turisti occidentali che affollano il mare sardo, tra l’indifferenza della gente da una parte e i sorrisi di commiserazione dall’altra. Nei prodotti che vende Talla c’è davvero di tutto: dai braccialetti alle statuette di legno, dai fazzoletti fino ai compact disk masterizzati di musica. Sarà proprio la musica, la grande amica di tutti i giorni, quella che gli ha permesso nel tempo di intraprendere un viaggio personale verso l’integrazione, a portare alla denuncia del giovane senegalese. Intanto gli anni passano assieme ai diversi lavori che Talla ha la fortuna di fare, in modo più o meno stabile, tanto da essere assunto come commesso all’interno di un negozio gestito da connazionali, la Dakar Boutique, e di chiudere poi la sua avventura con un impiego a contratto come collaboratore domestico. In questi sette anni Talla migliora il suo italiano, frequenta i locali assieme al grande gruppo di amici che ha la fortuna di incontrare e che ricambiano con amore il suo speciale modo di essere. Poi la musica, come dicevo, fatta da egli stesso con tanta passione e poco denaro, la musica che dovrebbe ancora far piangere e arrabbiare, è la stessa musica che adesso viene subordinata al denaro e, per un ideale di proprietà, lo accusa di essere un criminale ritorcendoglisi contro. Questo paradosso Talla lo incontra lunedì scorso, in questura, mentre munito di tutti i documenti necessari si reca per il rinnovo del permesso di soggiorno che non avverrà mai. Da là inizia la trafila che lo porterà prima ad Elmas, poi a Lamezia Terme (Calabria), all’interno di un CPT dov’è attualmente detenuto in attesa di espulsione e dove “tutti vengono trattati come cani randagi”, per usare le sue parole. La decisione ha comportato automaticamente la reazione della città, con degli appelli su Facebook a cui hanno aderito, almeno per il momento, più di 4000 contatti, ed attraverso le espressioni di solidarietà da parte della maggior parte dei cittadini. Appelli che sono arrivati anche nei salotti del Parlamento e, per la precisione, alle orecchie di Mauro Pili, ex sindaco della città e attualmente deputato del PdL, il quale ha espresso la volontà di volersi mobilitare direttamente per la questione in modo che possa avere degli esiti diversi rispetto a quelli previsti dall’attuale “pacchetto sicurezza”. Pili ha infatti dichiarato di voler contattare direttamente il Ministro dell’Interno Maroni, se necessario, in modo che Talla possa continuare a stare in Italia e svolgere serenamente il suo lavoro. Al di là della possibilità concreta che ciò avvenga e della reale intenzione di risolvere il problema da parte delle istituzioni tutte, la vicenda mette in luce quel che in effetti era palese da tempo, prima che questa si verificasse: le falle di questa legge. Non è questa la sede per discutere sul sistema in cui vengono protetti i diritti di copyright in Italia e sulla logica che muove il mercato della musica (anche se, dal mio punto di vista, in questo caso i temi sono strettamente connessi), ma sarebbe opportuno sottolineare come il tanto acclamato pacchetto non faccia alcun distinguo tra i clandestini e coloro che, invece, clandestini non sono. Questa sorta di uniformità verso lo straniero, accompagnata dall’idea che un criminale resti tale anche se nel tempo ha conseguito un posto di lavoro e si è perfettamente integrato, che non fa alcuna distinzione tra i reati e non va ad indagare sulle motivazioni sociali che sono alla base di questi ultimi, soffre ancora, secondo me, di una forma di ignoranza tipica del nostro paese. Essa non permette, in ultima istanza, che si creino delle vere e proprie condizioni di integrazione che possano portare la nostra società a modificarsi e modellarsi nel tempo (e non viceversa) per accogliere, adesso e nel futuro, quelle generazioni di immigrati che faranno la ricchezza economica e culturale del nostro paese negli anni a venire. Non vorrei mettere altra carne al fuoco, parlando ad esempio della fissità del nostro sistema economico o dei nostri partiti politici, la mia intenzione era essenzialmente quella di sensibilizzare l’opinione pubblica verso un problema che riguarda un mio caro amico e tutta la società. Forse anche la musica.

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