martedì 30 marzo 2010

LA TRAPPOLA DELLA SANATORIA

Copio un link segnalato da una mia collega:

Randa Ghazy è una scrittrice nata a Saronno da genitori egiziani. Vive a Milano.

Ho un parente molto giovane che qualche anno fa voleva partire per l’Egitto. Voleva tornare a casa per un’estate per vedere la fidanzata, respirare la brezza marina di Alessandria, passeggiare sul lungomare, parlare un po’ di dialetto con i vecchi amici. Poi, a settembre, sarebbe tornato alla sua vita da immigrato.

Il mio parente, chiamiamolo Abdullah, all’epoca non aveva il permesso di soggiorno, ma solo la ricevuta della sua domanda di regolarizzazione. Il suo timore era di non riuscire più a tornare in Italia alla fine dell’estate e di rimanere bloccato alla frontiera per colpa di quello stupido pezzetto di carta. Mi sono offerta di accompagnarlo in questura per chiedere informazioni. Ci sono già andato, mi ha risposto, mi hanno detto che non c’è problema. Assicuriamoci che tu abbia capito bene, ho ribattuto.

È stata la mia prima volta. Grazie a mio padre, emigrato in Italia negli anni settanta, ho avuto la cittadinanza prima ancora che fossi capace di intendere e di volere. Ma l’esperienza è stata utile.

Abbiamo fatto almeno un’ora di fila con decine di altri immigrati, di diverse origini ed età. Poi, quando è stato il nostro turno, un impiegato dalla faccia più svogliata che abbia mai visto ci ha rivolto uno “mmh?”, senza neanche alzare lo sguardo dalla sua scrivania.

Gli ho esposto il problema, e lui ha detto lapidario: “Non si può fare”.
“Ma come? Lui ha già chiesto e gli hanno detto che non c’è problema”.
“Si sono sbagliati”.
“Ma come? Lui è venuto proprio qui, in questura. Non potete dare informazioni sbagliate. Scusi, metta che lui partiva tranquillo e poi rimaneva bloccato in Egitto per colpa delle vostre informazioni?”.
“Be’, tanto non è partito, no?”.

In regola o no?
Dopo questa esperienza non mi stupisco quando leggo sui giornali che la sanatoria Maroni varata il 1 settembre 2009 conteneva delle trappole per gli immigrati.

Il provvedimento permetteva ai datori di lavoro di regolarizzare la posizione dei lavoratori stranieri impiegati in nero. Normalmente chi impiega lavoratori senza permesso di soggiorno o con un permesso di soggiorno scaduto rischia da un mese a tre anni di prigione e un’ammenda di cinquemila euro. Con la sanatoria prevista dalla legge numero 102 del 2009, invece, confessando l’inadempienza si poteva formalizzare senza conseguenze un nuovo rapporto di lavoro. Centinaia di migliaia di lavoratori in attesa di essere regolarizzati dai tempi dell’ultima sanatoria, nel 2002, hanno avuto finalmente la loro occasione.

Ma c’era una contraddizione. Secondo l’articolo 14 della legge Bossi-Fini, disubbidire a un decreto d’espulsione è un reato grave che prevede l’arresto obbligatorio. Dunque, rimaneva un dubbio: i lavoratori stranieri che non avevano rispettato il decreto d’espulsione potevano regolarizzarsi o no?

A chi glielo chiedeva, il ministero dell’interno rispondeva di sì. Così migliaia di persone hanno deciso di fare domanda di regolarizzazione. Ma poi le questure hanno ricevuto informazioni diverse dal Viminale. Risultato: molti lavoratori stranieri che si sono presentati in questura per mettersi in regola si sono autodenunciati senza volerlo, e sono stati espulsi, senza neanche poter chiedere l’aiuto di un avvocato.

In fondo, Abdullah è stato fortunato.
Randa Ghazy

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