lunedì 12 aprile 2010

IL DIRITTO D'AUTORE SI RIBELLA

Ancora si conosce poco, o forse poco si vuol far conoscere. È Creative Commons, la nuova frontiera sui diritti d’autore che ha ormai preso piede in diverse parti del mondo a partire dal 2001 (anno della sua nascita) su un’idea del professor Lawrence Lessig, ordinario della facoltà di Giurisprudenza di Stanford (ed in precedenza anche di Harvard), riconosciuto come uno dei massimi esperti di diritto d'autore negli Stati Uniti. Il CC permette di trasferire al pubblico dominio la totalità - o parte di essa, attraverso degli appositi pacchetti – dei diritti di copyright. L’organizzazione ha chiaramente una connotazione no-profit dedicata alla divulgazione di opere creative nel campo dell’arte, del giornalismo, della letteratura ed altro, ed andando a mettere in pratica la già nata idea di “copyleft” (in aperta contrapposizione con il “copyright” classico che tutti conosciamo), un sistema di licenze attraverso il quale l’autore indica, al momento stesso della registrazione, che il suo lavoro può essere liberamente utilizzato, modificato e diffuso, ovviamente nel rispetto del diritto d’autore ed in maniera totalmente gratuita. Questo tipo di protezione va ad inserirsi, necessariamente, all’interno del sistema giuridico di ciascuno Stato che lo adotta, incontrando a seconda dei casi degli ostacoli e delle resistenze più o meno marcate. In Italia sappiamo che l’intermediario tra l’autore e chi utilizza l’opera è rappresentato dalla SIAE, un istituto di diritto pubblico che, per la protezione appunto del copyright, recupera proventi da chi intende registrare un suo prodotto, ma anche da chi lo usa per i più svariati motivi. Questo, oltre ad essere abbastanza ingiusto, crea una disparità (come di routine) tra i piccoli artisti che intendono iniziare e che si vedono addossare delle spese per la denuncia dei loro lavori, senza peraltro alcun ritorno economico, ed i grandi produttori discografici o cinematografici, per citarne due, che invece sul diritto d’autore fanno la loro fortuna pecuniaria. Senza considerare il fatto che, chi contravviene a questo tipo di regole, va incontro a delle sanzioni più o meno serie a seconda dei casi. Il Creative Commons elimina, o tende perlomeno a farlo, questo tipo di problemi legati ad intermediari poco convenienti e allo stesso tempo rendendo “riservati alcuni diritti”. Diversi i progetti che già adottano licenze CC, tra i più importanti possiamo citare Deviantart e Al Jazeera Creative Comons Repository, ma la speranza è che possano aderire all’iniziativa altri liberi professionisti che hanno deciso di non subordinare le proprie opere alle leggi del mercato ma alla loro passione.Ancora si conosce poco, o forse poco si vuol far conoscere. È Creative Commons, la nuova frontiera sui diritti d’autore che ha ormai preso piede in diverse parti del mondo a partire dal 2001 (anno della sua nascita) su un’idea del professor Lawrence Lessig, ordinario della facoltà di Giurisprudenza di Stanford (ed in precedenza anche di Harvard), riconosciuto come uno dei massimi esperti di diritto d'autore negli Stati Uniti. Il CC permette di trasferire al pubblico dominio la totalità - o parte di essa, attraverso degli appositi pacchetti – dei diritti di copyright. L’organizzazione ha chiaramente una connotazione no-profit dedicata alla divulgazione di opere creative nel campo dell’arte, del giornalismo, della letteratura ed altro, ed andando a mettere in pratica la già nata idea di “copyleft” (in aperta contrapposizione con il “copyright” classico che tutti conosciamo), un sistema di licenze attraverso il quale l’autore indica, al momento stesso della registrazione, che il suo lavoro può essere liberamente utilizzato, modificato e diffuso, ovviamente nel rispetto del diritto d’autore ed in maniera totalmente gratuita. Questo tipo di protezione va ad inserirsi, necessariamente, all’interno del sistema giuridico di ciascuno Stato che lo adotta, incontrando a seconda dei casi degli ostacoli e delle resistenze più o meno marcate. In Italia sappiamo che l’intermediario tra l’autore e chi utilizza l’opera è rappresentato dalla SIAE, un istituto di diritto pubblico che, per la protezione appunto del copyright, recupera proventi da chi intende registrare un suo prodotto, ma anche da chi lo usa per i più svariati motivi. Questo, oltre ad essere abbastanza ingiusto, crea una disparità (come di routine) tra i piccoli artisti che intendono iniziare e che si vedono addossare delle spese per la denuncia dei loro lavori, senza peraltro alcun ritorno economico, ed i grandi produttori discografici o cinematografici, per citarne due, che invece sul diritto d’autore fanno la loro fortuna pecuniaria. Senza considerare il fatto che, chi contravviene a questo tipo di regole, va incontro a delle sanzioni più o meno serie a seconda dei casi. Il Creative Commons elimina, o tende perlomeno a farlo, questo tipo di problemi legati ad intermediari poco convenienti e allo stesso tempo rendendo “riservati alcuni diritti”. Diversi i progetti che già adottano licenze CC, tra i più importanti possiamo citare Deviantart e Al Jazeera Creative Comons Repository, ma la speranza è che possano aderire all’iniziativa altri liberi professionisti che hanno deciso di non subordinare le proprie opere alle leggi del mercato ma alla loro passione.

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