giovedì 10 novembre 2011

DIETRO LE SBARRE ISRAELIANE, LO SCIOPERO DELLA FAME DEI PRIGIONIERI POLITICI PALESTINESI



Si è tenuto giovedì 3 novembre, presso l’Aula Magna della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Cagliari, l’incontro-dibattito riguardante lo sciopero della fame portato avanti dai detenuti palestinesi nelle carceri israeliane.

Organizzato dall’Associazione Sardegna-Palestina e in collaborazione con il gruppo cagliaritano di Amnesty International, l’evento è riuscito a dare risalto a una vicenda altamente censurata dai media mainstream, mentre in Palestina e presso la società civile mondiale è stata accolta con grande solidarietà.

Nella maggioranza delle città palestinesi, ad eccezione di Gerusalemme dove le uniche tende montate sono quelle degli indignados israeliani che paiono glissare il tema dell’occupazione, numerosi sit-in sono sorti in supporto all’azione di protesta dei prigionieri politici palestinesi.

A Ramallah un grande accampamento è stato montato nei pressi del centro cittadino, con tanto di palco e seggiole funzionali ai dibattiti pubblici sul tema, ma anche a Betlemme, Tulkarm ed Hebron le manifestazioni di sostegno non sono di certo mancate.

I dati forniti da Addameer -parola araba per coscienza- pesano come macigni. L’ultimo report dell’associazione pubblicato a settembre attesta a 5374 i prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, 176 di questi sono minori, 31 al di sotto dei sedici anni.

Dal 1992 l’ONG palestinese Addameer si occupa dei prigionieri politici palestinesi in Israele e Palestina; con le sue azioni di denuncia, il centro lavora per porre fine alle torture nelle carceri, per garantire misure detentive che rispettino la dignità umana, offre un servizio legale gratuito ai detenuti.

La questione dei prigionieri politici è centrale all’interno della società palestinese, le stime denotano che circa il 90% dei palestinesi hanno o hanno avuto in passato un familiare o amico detenuto in prigione. I centri di detenzione hanno una notevole influenza, poiché spesso risultano l’unico luogo di aggregazione sociale possibile nei Territori Occupati. M., giovane di Al Ma’sara, villaggio a sud di Betlemme, mi confessò che il carcere fosse paragonabile all’Università, è in questi luoghi che viene a formarsi nel giovane detenuto una coscienza civile e politica.

La maggioranza dei prigionieri palestinesi sono considerabili “politici”, unicamente per il fatto di essere palestinesi. Un video mostrato durante l’incontro mostra un gruppo di giovani intenti a giocare a calcio in un assolato pomeriggio del luglio di quest’anno, ad un tratto un furgone della polizia israeliana senza alcuna scritta di riconoscimento si affianca ai ragazzi e li carica sopra il veicolo con la forza. La prassi è questa nella maggioranza dei casi, aggravata dal fatto che i poliziotti israeliani siano soliti camuffarsi da civili palestinesi.

L’arresto viene eseguito sotto l’egida di regolamentazioni militari sempre nuove, si stima che queste siano circa 1500 nel West Bank e 1400 nella Striscia di Gaza, con un raggio d’azione incredibilmente ampio che può partire dalla semplice coltivazione di ortaggi: se la coltura viola uno dei regolamenti, la pena è il carcere.

Il 19 ottobre è stato ultimato l’accordo tra le autorità israeliane e Hamas, per lo scambio di prigionieri politici palestinesi con il caporale israeliano Gilad Shalit. Un primo gruppo di prigionieri palestinesi -477- ha ottenuto la libertà, mentre per altri 550 si dovrà attendere ancora qualche settimana. Difficile prevedere se Israele manterrà la parola data, intanto nella città di Ramallah si sono consumati grandi festeggiamenti per la loro liberazione, un grande numero di bandiere verdi di Hamas -la maggioranza- sventolavano nel cielo, seguite numericamente dall’OLP e Fatah. Il discorso del Primo Ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen è stato pregno di emozione e acclamato dalla folla, sulla scia di quello tenuto in sede ONU per la richiesta di riconoscimento dello Stato palestinese.

La questione dei prigionieri politici palestinesi non è assolutamente chiusa, la partita diplomatica è ancora tutta da giocarsi, la liberazione di queste persone corrisponde con la liberazione dall’occupazione, due questioni inscindibili per le speranze palestinesi.

In tutto il mondo, Roma compresa, accampamenti in solidarietà dei prigionieri stanno sorgendo. Se lo sguardo incrocia una tenda corredata da scritte arabe e l’effige di Marwan Barghouti, non esitate a fermarvi e conoscere questa nuova resistenza. E’una questione di dignità, una questione di giustizia.

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