venerdì 18 novembre 2011

ESIGERE LA VERITÀ PER VITTORIO: QUINTA UDIENZA DEL 3 NOVEMBRE 2011


Lo scorso 3 novembre si è tenuta a Gaza City la quinta udienza del processo per il rapimento e l'uccisione di Vittorio Arrigoni. Un'udienza di 50 minuti in cui sono state chiamate a testimoniare dall'accusa cinque persone che, a vario titolo, hanno avuto contatti con gli imputati nei giorni immediatamente precedenti il rapimento di Vittorio.

Uno dei testimoni, Mahmud Shindi, è cognato di Tamer Hasasnah, uno dei due imputati che durante la seconda udienza si erano lamentati di aver confessato sotto forti pressioni, benché poi prove a riguardo non fossero state riscontrate.
Tamer Hasasnah è anche il proprietario del cellulare e del pc, adesso agli atti del processo, contenenti foto e video originali di Vittorio tenuto ostaggio. Mahmud Shindi ha confermato di aver conosciuto, sebbene con il nome di Khaled, Abdel Rahman Breizat, il giordano a capo del gruppo salafita che ha rapito Vittorio. Breizat rimase ucciso durante un blitz effettuato dalle forze di Hamas nel suo rifugio pochi giorni dopo l'assassinio di Vittorio. Al testimone che essa stessa ha chiamato a testimoniare, l'accusa non ha posto, tuttavia, alcuna domanda di approfondimento sulla figura misteriosa di Breizat, venuto appositamente dalla Giordania attraverso un tunnel per rapire Vittorio. Perché proprio Vittorio? Dopo cinque udienze questa domanda non ha ancora avuto luogo nel processo. Non convincono affatto le spiegazioni date finora, non ufficiali tra l'altro, di un rapimento "eccellente" effettuato allo scopo di conferire prestigio a questo gruppo sedicente salafita - quasi del tutto sconosciuto fino a quel momento -, all'interno di un contesto di lotte di potere tra clan nella Striscia di Gaza. L'ordinamento giuridico palestinese non prevede la costituzione di parte civile nei processi militari: questo non ha permesso né all'avvocato palestinese né a quello italiano, scelti inizialmente dalla famiglia Arrigoni, di fare domande scomode in un processo la cui conclusione, udienza dopo udienza, pare sempre più essere stata decisa sin dall'inizio. Un processo-farsa? Ecco il commento a caldo sulla quinta udienza di Gilberto Pagani, avvocato della famiglia Arrigoni: «50 minuti per sentire cinque testimoni: o non sapevano nulla (e allora perché li hanno chiamati), o è un'offesa all'intelligenza».

Oltre a questo, c'è da rilevare la scarsa attenzione con cui è seguito il processo qui in Italia, sia da parte dei mezzi d'informazione - con l'unica eccezione del quotidiano "Il Manifesto" attraverso la penna di Michele Giorgio -, che da parte dell'opinione pubblica. Il dolore e lo sconcerto seguiti alla morte di Vittorio sembrano aver lasciato il posto alla rassegnazione che in questo processo non sia possibile arrivare alla verità. Questo significherebbe, tuttavia, fare torto proprio alla persona di Vittorio che, in tutta la sua vita, mai si è rassegnato e sempre si è impegnato attivamente contro le ingiustizie.

Voler sapere la verità sulla morte di Vittorio è un diritto e un dovere di chi gli ha voluto bene e lo ha stimato. Una verità la cui ricerca non dobbiamo mai smettere di pretendere.

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