sabato 7 gennaio 2012

ESIGERE LA VERITÀ PER VITTORIO: UDIENZA DEL 5 GENNAIO 2012


Il 5 gennaio 2012 si è svolta a Gaza City una nuova udienza del processo Arrigoni. Difficile dire con precisione che numero fosse, visto che durante le udienze precedenti si è appreso che già nei mesi estivi erano state tenute delle prime udienze, di cui, però, niente era stato comunicato alla famiglia Arrigoni.

Giovedì scorso ha violato l'ordine di presentarsi in aula uno dei quattro imputati, Amr Abu Ghoula, agli arresti domiciliari perché accusato di reati minori: la Corte ha emesso un mandato di arresto nei suoi confronti, ma, almeno fino alla sera di giovedì, di Amr si erano perse le tracce. L'udienza è stata aggiornata dopo soli 5 minuti. Ennesimo rinvio, tutto sembra far pensare ad un logorante tentativo di allungare i tempi del processo.

Elementi di novità sono emersi, invece, nei testi delle confessioni di due degli imputati (Mahmud Salfiti e Khader Ijram), testi consegnati da una fonte giornalistica di Gaza al quotidiano Il Manifesto. Khader Ijram è un vigile del fuoco che ha prestato servizio a lungo presso una stazione della difesa civile vicina alla casa in cui viveva Vittorio. Durante la confessione, Khader ha ammesso di aver fornito per almeno due mesi informazioni dettagliate sui movimenti di Vittorio al gruppo salafita che l'ha poi sequestrato. Ancora più importante la confessione di Mahmud Salfiti: quest'ultimo ha ammesso che tutti i componenti del gruppo che ha sequestrato Vittorio - e non soltanto i due "capi", come pensato inizialmente - erano d'accordo nell'uccidere l'ostaggio se il governo di Hamas si fosse opposto allo scambio di prigionieri, ossia alla liberazione dello sceicco Abdel-Walid al-Maqdisi. E che tutti i componenti del gruppo avevano deciso di uccidere Vittorio, non rispettando l'ultimatum lanciato inizialmente, per darsi poi alla fuga.

A settembre il procuratore aveva parlato di tempi brevi per lo svolgimento del processo, assicurati anche dal vice-ministro degli esteri del governo di Hamas. A distanza di quattro mesi, invece, tutto è fermo su questioni procedurali, tentativi di delegittimare Vittorio e far apparire il suo stile di vita promiscuo - tentando di giustificare, in questo modo, il suo rapimento agli occhi dell'opinione pubblica palestinese -, rinvii su rinvii. A dicembre Egidia Beretta ed Alessandra Arrigoni, la mamma e la sorella di Vittorio, avevano risposto alla "richiesta di perdono" da parte delle famiglie degli imputati ribadendo il loro fermo rifiuto alla pena capitale ed a qualsiasi forma di vendetta, ma chiedendo anche che fosse fatta piena luce sull'uccisione di Vittorio. Luce lontana, per ora.

Alle difficoltà del processo a Gaza e all'ostruzionismo delle istituzioni di Hamas si aggiunge, qui in Italia, l'interesse calato sul processo: un interesse calato in buona parte a causa della rassegnazione che in questo processo sia improbabile arrivare alla verità. Una rassegnazione che, però, prima ancora che alla sua famiglia, non rende merito allo stesso Vittorio. Prima di cedere alla rassegnazione, ognuno dovrebbe chiedersi in propria coscienza se abbia fatto tutto quanto in suo potere affinché l'esito potesse essere diverso. Creare dei gruppi di discussione; organizzare incontri, letture, serate con proiezioni; documentarsi in prima persona; fare pressione sul Governo Italiano, anche solo tramite mail, affinché si interessi finalmente del processo riguardante l'uccisione di un suo cittadino: sono alcune delle possibilità che vanno tentate, tutte. Vittorio non si è mai fermato, non si è mai rassegnato: rendiamogli memoria.

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