venerdì 2 marzo 2012

DOVE SI NASCONDE IL RAZZISMO? NELLA SCIENZA! di Gabriele Ainis


Leggevo una tesi di laurea. Una laureanda si interessa di studi riguardanti la genetica delle popolazioni e si interroga sulla distribuzione di alcuni marcatori nel DNA (mitocondriale) dei sardi. Sono studi suggeriti tanti anni fa da Luca Cavalli Sforza e sono interessanti per coloro che si interrogano sulla dinamica delle popolazioni: come si formarono i popoli, quali genti si spostarono nel passato per determinare la distribuzione odierna, da dove passarono lasciando dietro di sé la traccia genetica del movimento. Si preleva un campione di DNA, si esamina e si analizzano i risultati con tecniche che sono diventare, ormai, del tutto routinarie.

Nulla di rivoluzionario, non certo un lavoro eclatante come quello famoso che portò alla conferma della nostra lontana (ma mica poi tanto!) origine africana. Uno studio limitato che riesamina risultati acquisiti e si pone il problema di determinare se ci sia stata una variazione recente ed accertabile del patrimonio genetico dei sardi di una certa area dell’Isola. Le tesi di laurea sono quasi tutte così, un buon pretesto per mostrare agli studenti come si contribuisca al crescere della scienza, insomma per mostrare loro come si fa.

Bene: come si fa?

Nei lavori scientifici, una parte essenziale riguarda le metodologie utilizzate. Ad esempio: si fa in fretta a dire che si vuole studiare il corredo genetico dei sardi, prima è necessario stabilire con esattezza cosa si intenda per sardi, perché altro è parlare di genetica con gli amici di fronte a un bicchiere di vermentino, altro impostare un lavoro scientifico, che non deve prestare il fianco ad ambiguità.

Infatti la studentessa descrive, con precisione, il criterio di scelta dei soggetti che hanno cortesemente ceduto un campione del proprio DNA: sono stati considerati solo coloro con un cognome sardo!

Bene! Pisanu, ad esempio, è un cognome sardo? E Pisano? E Lombardo (di cui non esiste la versione Lombardu, apparentemente più sarda, ma c’è Lombardi)? E Wagner?

Chi è abituato ai lavori scientifici avrà rizzato subito le orecchie annusando odore di bruciato, perché con un criterio di scelta come questo si cade in un riferimento circolare molto pericoloso. Se si definisce sardo solo chi ha un cognome sardo, ma poi non si specifica con esattezza cosa si intenda per cognome sardo, è tutto inutile. Attenzione, la mancanza di un criterio non corrisponde ad una scelta casuale, tutt’altro, semplicemente si adotta un criterio sconosciuto e i risultati sono del tutto falsati.

Davvero la laureanda ha commesso un errore così marchiano?

Sì, l’ha fatto e non solo lei, perché c’è un relatore che ha seguito il suo lavoro il quale non è un neofita ed anzi, con ogni probabilità, avrà suggerito proprio lui il bizzarro “criterio” posto alla base del lavoro.

Poco male: la ragazza si è laureata e le auguriamo un luminoso futuro: adesso c’è in giro un nuovo riferimento bibliografico che probabilmente verrà citato e dirà che il DNA (mitocondriale) dei sardi è fatto così piuttosto che cosà e sarà una mezza bufala perché i lavori scientifici non si fanno così.

Tuttavia a me l’aspetto squisitamente scientifico interessa poco, mentre sono esterrefatto dalla nonchalance di un gruppo di persone (la tesi l’avranno letta in tre o quattro, spero, tra cui immagino pregiati professori universitari) che senza un rigo di spiegazione definisce sardi solo coloro che a loro avviso hanno un cognome sardo e m’importa poco chi sia ammesso a far parte della categoria perché non parlo di cattiva scienza ma di pessimo razzismo, tanto cattivo che neppure si vede e, per questo, è il peggiore.

In tutta evidenza, chi ha condotto il lavoro ritiene scontato che un cognome che suona bene sia sardo ed uno che suona male non lo sia, secondo uno dei tanti stereotipi radicati nell’apparente buonsenso di tutti noi che nascondono, invece, la convinzione che esista la linea sottile che separa il buon sardo, il vero sardo, quello di serie A, dal sardo così così, che sarà sardo anche lui, per carità e chi lo nega, però il cognome…

No, stiamo attenti, non è solo un problema secondario di political correctness, sono segnali di un modo di pensare che affiorano regolarmente al di là del razzismo conclamato, quello più becero, forse, ma evidente e facilmente classificabile. Questo professore che ha assegnato la tesi - e seguito il lavoro - molto semplicemente non ci ha pensato, perché l’idea che il sardo debba possedere un cognome sardo è dato per scontato, sebbene, alla fine, e proprio per via scientifica, questo cognome sardo non si capisce cosa sarebbe, visto che a cercare di darne una definizione si avvolge su di sé fino a farci dire che il cognome sardo altro non è se non il cognome dei sardi, che sarebbero poi quelli che portano un cognome sardo che è…

Certo che si possono definire i sardi in un altro modo, ad esempio coloro che abitano in Sardegna, ma allora anche il mio amico che di cognome fa Barbarossa ed un altro che fa Barbera - mica Cannonau! - sarebbero sardi e bisognerebbe prelevare il loro DNA per lo studio, no?

No, ecco il punto, ed arriviamo all’ultimo errore che dimostra, più di ogni altro, come il razzismo, l’idea stessa che esista da qualche parte una cesura tra chi appartiene alla tribù e chi ne deve essere escluso, si annidi anche dove non dovrebbe, tra le pieghe di quella scienza, la genetica, che ne ha escluso l’esistenza.

Il lavoro della ragazza era centrato sulla verifica della stabilità genetica in un’area circoscritta negli ultimi due secoli ed è per questo che, ovviamente, si è cercato in qualche maniera di circoscrivere una popolazione priva, per quanto possibile, di apporti esterni. Si voleva cercare, insomma, una fantomatica popolazione isolata per vedere un po’ di quale deriva genetica fosse stata oggetto.

Non sto a spiegare perché quella dei cognomi sia un’evidente sciocchezza, lasciamo la tecnica a chi dovrebbe conoscerla, ma mi chiedo: perché si traggono conclusioni sui sardi? Perché li chiamano così? Quelli arrivati negli ultimi due secoli forse non lo sono? E quelli arrivati ieri? Non avrebbero potuto parlare di una sottopopolazione sarda spiegando bene che non si tratta dei sardi?

No e infatti:
Il lavoro conferma un’elevata variabilità della popolazione sarda, che si inserisce nel contesto europeo, mantenendo però una sua particolarità genetica.

Perché i sardi sono quelli che hanno un cognome sardo, e che sia di quelli buoni, altrimenti non vale!

di Silvia Fenu
Università degli studi di Sassari – Facoltà di Scienze matematiche Fisiche e Naturali - AA 2010-2011

24 commenti:

  1. Ciao, è molto forzato il tuo considerare razzista la tesi di questa ragazza... la popolazione sarda è da sempre oggetto di studi di genetica di popolazione visto che presenta delle peculiarità che la rendono abbastanza unica. Posso immaginare che la ragazza, piuttosto che riferirsi ad alberi genealogici che le avrebbero rubato molto tempo, abbia scelto, insieme con il relatore, di prendere in considerazione cognomi che le avrebbero reso una più semplice individuazione dei soggetti per lo studio. Razzismo? No, solo un metodo poco scientifico...

    RispondiElimina
  2. Gentile Anonimo,
    la tesi parla di "sardi", ma non hanno effettuato la ricerca sui "sardi" quanto su "alcuni sardi". E' un errore e su questo vedo che anche lei mi segue.
    La domanda è: perché si commette questo errore? Glielo dico: perché esiste la posizione mentale che "il sardo" è quello che ha il genoma "sardo" cioè quello che corrisponde al "cognome sardo"; dal punto di vista scientifico è un errore grave, ma dal punto di vista del nostro vedere i "sardi" è uno stereotipo pericoloso (e nascosto, poco visibile). Le faccio un esempio: studi simili vengono fatti spesso nelle valli alpine, ad esempio della Lombardia, ma nessuno si sognerebbe mai di dire che "i lombardi" sono fatti in un modo piuttosto che in un altro (è la popolazione alpina, quella ristretta). E' l'equivalente della Padania e dei padani, che non esistono. Esistono delle popolazioni sarde che hanno determinate caratteristiche, ma non sono "i sardi" ad averle (nel senso di “popolo sardo”).
    In questo senso è scientificamente sbagliata la sua affermazione: "la popolazione sarda è da sempre oggetto di studi di genetica di popolazione visto che presenta delle peculiarità che la rendono abbastanza unica". Se legge i lavori (e non ciò che pubblicano grossolanamente i giornali) troverà conferma di ciò che le dico. Non c'è una "popolazione sarda" che ha peculiarità, ci sono "popolazioni sarde" che hanno peculiarità differenti, come in tutto il mondo.
    Passiamo al razzismo: non ho affermato che la tesi di laurea sia razzista. Ho detto che un errore scientifico commesso nella tesi (quello di confondere "i sardi" con "alcuni sardi") è il risultato di una mentalità che ha risvolti razzisti (il considerare l'esistenza, falsa, di un "sardo tipico"). Ciò è diverso.
    Glielo dico in un altro modo: se la tesi l'avessi scritta io, avrei badato a specificare molto meglio gli scopi della ricerca spendendo dieci righe in più e magari non avrei commesso errori così gravi (ma non è detto). Di sicuro non avrei fatto capire, come invece accade, che esiste la categoria antropologica del “DNA sardo”, che è non solo un errore scientifico ma una potenziale sorgente di razzismo (e intolleranza).
    Negli Stati Uniti saranno forse esagerati, ma dopo un errore del genere il professore avrebbe passato non pochi guai e si sarebbe dovuto scusare.
    Cordialmente,
    Gabriele Ainis

    RispondiElimina
  3. Gentile Gabriele,
    ho personalmente partecipato alla ricerca (dando un pochino di sangue per la Scienza), e debbo dire che la sua presentazione non fa onore alla realtà dei fatti.
    Chiesi naturalmente spiegazioni del prelievo, e mi fu gentilmente illustrato dalla dottoressa il principio fondante dello studio.
    Due sono stati gli aspetti presi in considerazione: quello genetico e quello antropologico, e a partire dal secondo si è condotto uno studio sul primo.
    La scelta del cognome, come sottolinea lei correttamente, non è un criterio scientifico... e infatti non è stato utilizzato in modo esclusivo! Ci mancherebbe altro!
    Altri criteri entravano in gioco, ovvero il cognome doveva essere generazionalmente e geograficamente radicato (almeno fino ad una generazione dalla mobilità più "laminare e meno turbolenta" di quella '900esca) e lo studio era volto anche a testare le "contaminazioni" nel patrimonio genetico della popolazione sarda.
    Se poi la studentessa non dovesse averlo spiegato estensivamente nella tesi... bhè... in parte è responsabilità sua e in parte della supervisione.
    Però è un bel salto quello di affermare che il criterio di ricerca fosse sconclusionato, o affibbiare valore morale (razzismo?) ad uno studio scientifico.
    Penso che il suo post sia viziato da questa incomprensione di fondo.
    Un'ultima osservazione: giudicare il complesso di una ricerca scientifica da una tesi di laurea... è veramente un'operazione di induzione spregiudicata! Nell'esprimere un "voto globale" su un progetto, quantomeno ci si dovrebbe riferire ad un set di articoli che siano stati peer-reviewed su rivista internazionale.
    Cordialmente,
    Quarkonio

    RispondiElimina
  4. Gentile Quarkonio,
    prima di tutto la ringrazio (sinceramente) per aver dedicato del tempo alla lettura e al commento.
    Lei dice: «Però è un bel salto quello di affermare che il criterio di ricerca fosse sconclusionato, o affibbiare valore morale (razzismo?) ad uno studio scientifico».
    Sul primo aspetto sbaglia e le suggerisco di leggere uno dei numerosissimi saggi riguardanti i cognomi come indicatore di “purezza genetica” (poi capirà perché usi questo termine, manifestamente errato). Ho detto nell’articolo che non intendevo scendere nei dettagli tecnici (si figuri se questa è la sede adatta per una discussione del genere: chiunque sia interessato, e possieda il lessico sufficiente per farlo, potrà informarsi di persona; io ero interessato ad altro).
    Sul secondo, la invito a rileggere ciò che ho scritto: ho parlato di “mentalità” non di valore morale dello studio (peraltro scientificamente carente). Quanto ciò sia corretto (che esita una mentalità viziata), lo si deduce proprio dal suo commento: «[…] lo studio era volto anche a testare le "contaminazioni" nel patrimonio genetico della popolazione sarda.»
    I casi sono tre: la studentessa si è spiegata male; lei ha capito male; entrambe le cose. Dalle sue parole, si evince infatti l’esistenza di una “popolazione sarda” contraddistinta da un “patrimonio genetico”: ciò è falso, ma non solo dal punto di vista scientifico (non esiste alcun “DNA sardo”), soprattutto dal punto di vista della comprensione che i non addetti ai lavori ne traggono. Quella che esista un “popolo” (cosa del tutto diversa dal termine “popolazione” adottato in genetica, le due cose non sono sinonimi) contraddistinto da un DNA identificabile come “sardo” è idea del tutto priva di fondamento ma purtroppo genera conclusioni pericolosamente vicine all’esistenza di una razza (concetto escluso proprio dalla genetica). Non dubito che lei non sia razzista (lo dico senza alcuna ironia o sottinteso), ma le sue parole sono scientificamente errate e contigue al concetto di razza.
    (continua).

    RispondiElimina
  5. Non le sto a fare la morale sul termine “contaminare” (bruttissimo, ma si figuri se in genetica si usa questo termine; “contaminare” significa tutt’altro, ed è per sottolineare questo fatto che in precedenza ho adoperato, impropriamente, il termine “purezza”!).
    In definitiva, proprio li suo commento mi conforta nelle mie conclusioni: il lavoro è scritto malissimo e senza la minima attenzione alla possibilità che errori e imprecisioni portino a conclusioni sbagliate (tecnicamente) ma soprattutto generatrici di idee scivolose.
    Infine: «Un'ultima osservazione: giudicare il complesso di una ricerca scientifica da una tesi di laurea... è veramente un'operazione di induzione spregiudicata! Nell'esprimere un "voto globale" su un progetto, quantomeno ci si dovrebbe riferire ad un set di articoli che siano stati peer-reviewed su rivista internazionale.»
    Neppure per idea: ho espresso un giudizio riguardo una tesi di laurea, pubblicata in rete, su cui compaiono tre firme: Francalacci, Sanna e Fenu, senza nessuna intenzione di dare giudizi globali su chissà cosa! Queste tre persone hanno scritto e pubblicato il lavoro e ne sono responsabili. Se non hanno il tempo di far meglio si dedichino ad altro; nel momento in cui decidono di pubblicare, se ne assumono la responsabilità (e chi legge ha il diritto di critica).
    Sul peer-reviewing, le ricordo che è un procedimento di valutazione preventiva prima della pubblicazione; chi decida di pubblicare comunque non può certo chiedere che non venga preso in considerazione ciò che rende pubblico. Se non si è sicuri di ciò che si fa, si tace!
    Infine, una parola di buonsenso (credo). Chi si interessa di genetica, intendo chi se ne occupa per mestiere, dovrebbe essere tenuto ad evitare, per quanto possibile, che il proprio lavoro venga travisato. Invece capita spessissimo e gli addetti ai lavori accusano (spesso a ragione) gli organi di stampa. Chi è davvero impegnato nell’evitare letture errate del proprio lavoro dovrebbe portare la massima attenzione: non mi pare che in questo caso sia stato fatto (da cui la mia preoccupazione per la mentalità; negli USA, dove di razzismo se ne intendono, parlano di political correctness, cosa per la quale la tesi di cui parliamo non brilla!).
    Cordialmente
    Gabriele Ainis

    RispondiElimina
  6. Gentile Gabriele,
    faccio subito un passo indietro ed esprimo che non era mia intenzione addentrarmi in concettualità (para)antropologiche come "contaminazione" o quant'altro, ma utilizzavo questi termini in senso prettamente scientifico (non "contaminazione" in senso "identitario", qualsiasi cosa questo voglia dire, ma deviazioni statistiche sistematiche rispetto al campione di partenza).
    Inoltre ribadisco che, considerato un gruppo di persone (un campione, una popolazione), riferito ad una realtà di individui micro-localizzata e scarsamente mobile, considerati alcuni cognomi che sono in loco da 5 generazioni... ovviamente non si arriverà a definire un "comparto genetico sardo tipico" (anche perché, come fa notare lei, questa frase non ha alcun significato in senso scientifico), però si possono dedurre delle conclusioni di tipo statistico sulla correlazione (o non-correlazione) degli enti del campione (e, naturalmente, indurre delle similitudini per campioni analoghi).
    Supponiamo che si scopra, ad esempio, che le condizioni suddette producano una predisposizione particolare a specifiche malattie, e che la stessa conclusione venga raggiunta in studi indipendenti e condizioni analoghe: questo tipo di correlazione meriterebbe approfondimento e HA rilevanza scientifica.
    Infine, se la laureanda ha espresso male la motivazione della ricerca e se la relatrice non è intervenuta... ciò né invalida né conferisce accezioni "attitudinali" (mentalità razzista) allo studio.
    Poi sui dubbi statistici inerenti allo studio la questione è ben più semplice: basta affiancare allo studio dei cognomi "radicati" anche quello di un campione analogo di campioni casuali, e verificare se le stesse correlazioni individuate nel primo si riscontrano nel secondo e in quale misura. Se così fosse, bhè, lo studio non avrebbe alcuna significatività (e anche questo, comunque, è un risultato scientifico).
    Cordialmente,
    Giovanni Marco Pruna.

    RispondiElimina
  7. Gentile Pruna,
    mi permette di essere ironico?
    Se il signor Cardulinu e consorte mettono al mondo quattro figli, essi avranno il cognome Cardulinu, ma non c’è nulla che le possa assicurare che il loro corredo genetico derivi dal signor Cardulinu (se n’erano accorti anche i nostri saggi avi romani: ricorda il Pater semper certum est, mater numquam?). E se la signora Cardulinu avesse uno o più amanti? Ragion per cui lei può anche sincerarsi che il cognome Cardulinu persista nell’area oggetto di studio da un migliaio d’anni, ma il DNA (mi scusi l’espressione) se ne frega bellamente (come la signora Cardulinu!). C’è però un altro problema: lo studio di cui parliamo riguarda il DNA mitocondriale, che si propaga per via materna. Quindi i quattro figli del signor Cardulinu avranno tutti e quattro il DNA mitocondriale della madre: e se la signora si chiama Cecioni e proviene dal Lazio? La risposta è semplice: mentre stiamo a controllare che il cognome Cardulinu persista da chissà quante generazioni, il DNA mitocondriale dei quattro figli, che si chiamano Cardulinu, proviene dal Lazio! Se ciò non bastasse, le faccio notare che l’area geografica oggetto di studio è una di quelle maggiormente esposta (per ragioni storiche legate allo sfruttamento delle risorse minerarie) a forti apporti da parti di popolazioni migranti (detto in senso genetico, non antropologico). Non le sembra sufficiente?
    Ciò per dirle (alcuni de)i motivi per i quali sostengo che l’approccio scientifico dello studio è carente (ma guardi che l’espressione corretta sarebbe molto più forte: come chiamerebbe un approccio in cui effettua un campionamento sulla base di un parametro che si propaga per via paterna, per poi indagare una caratteristica che si propaga per via materna? La chiamerebbe “Clamorosa svista” o peggio?). Guardi che questi problemi non li risolve con un controllo su un campione aleatorio come suggerisce lei, c’è proprio un (grave) errore di fondo.
    Questo glielo faccio notare pur restando dell’idea che abbia poco senso discutere di tecnicismi un una sede come Kissa Qani (che si orienta evidentemente su altro).
    (Continua)

    RispondiElimina
  8. Lei dice inoltre: « se la laureanda ha espresso male la motivazione della ricerca e se la relatrice non è intervenuta... ciò né invalida né conferisce accezioni "attitudinali" (mentalità razzista) allo studio.»
    Sul lato scientifico le ho risposto: il lavoro si invalida da sé.
    Per il resto, le ripeto che non parlo di «studio» ma di coloro che hanno redatto la tesi (c’è una bella differenza, mi scusi, la prego di dare alle mie parole il senso che esprimono). Chi redige un lavoro (tanto più in un luogo come la Sardegna, in cui la genetica viene spesso citata a sproposito) ha il dovere di essere attento. Mi faccia specificare: non sostengo che i tre firmatari della tesi abbiano intenti razzisti (ci mancherebbe), ma che la tesi sia scritta in modo pessimo (soprattutto con noncuranza, ecco il punto, con mancanza di attenzione) fatto che determina la presenza di stereotipi e affermazioni che possono dare adito ad interpretazioni viziate. Ciò non ha nulla a che fare con la rilevanza scientifica (peraltro molto bassa): guardi che mi pare di aver separato molto bene i due ambiti, tanto da ripetere per un paio di volte che la questione scientifica andrebbe trattata altrove.
    In definitiva: lo vogliamo chiamare un piccolo incidente? Però mi dia atto di una cosa: se lei si è sentito sollecitato a discuterne significa che in fondo non parliamo solamente di aria fritta e che anche le tesine di laurea (considerate spesso del tutto irrilevanti) andrebbero curate con maggiore attenzione. Nell’era di internet non ci si libera più delle figuracce (e ciò è un bene, spero che almeno su questo si possa trovare un accordo).
    Cordialmente,
    Gabriele Ainis

    RispondiElimina
  9. Gentile Gabriele,
    probabilmente c'è un'incomprensione di fondo che ritorna sempre a galla, per quanto cerchiamo di chiarirci a vicenda.
    A questo punto, prima di rispondere mi sarà necessario leggere la tesi. Purtroppo le confesso che fin'ora, per ignoranza, mi sono basato solo su quanto mi era stato riferito prima dell'estrazione del campione e poi sul suo post.
    Ho fatto un tentativo, evidentemente non riuscito, di interpolare informazioni.
    Leggerò la tesi e tornerò sulla discussione.
    A presto,
    Marco

    RispondiElimina
  10. Gentile Marco,
    la ringrazio per la franchezza ("mi sarà necessario leggere la tesi. [...] mi sono basato solo su quanto mi era stato riferito prima dell'estrazione del campione e poi sul suo post.")
    Se dovesse servire, la mia mail è pubblica e reperibile in rete.
    Cordialmente,
    Gabriele

    RispondiElimina
  11. Ritorno brevemente dalla lettura (che è pesante e molto tecnica), per farle notare che la sua argomentazione (che le posso permettere, appunto come dice lei stesso, in senso "ironico" ma non scientifico) è uno strafalcione clamoroso dal punto di vista statistico.
    Come ho precisato inizialmente (e come mi sembra di leggere dalla tesi, ma mi riservo di andare avanti nella lettura) la scelta non è "del cognome e basta", ma dei cognomi che sono localizzati nel territorio da più generazioni (la Dottoressa fa riferimento a 200 anni, ma ripeto, mi riservo di andare avanti), e una specificità geografica in cui il flusso emigratorio/immigratorio è limitato-laminare, pertanto il campione è meno soggetto alle fluttuazioni dei marker genetici (che non ho ancora letto se siano statisticamente riportate, confido che lo siano), quindi la deviazione statistica sistematica prodotta da qualche Cardulinu generante con membri non appartenente al campione entra a far parte delle sistematiche di cui va stimata dopo la correlazione (e non nell'errore casuale, come sottintende col ragionamento)!
    Inoltre questa sistematica è ulteriormente ridotta dal fatto che, qualora anche la moglie (o una delle mogli) di un Cardulinu qualsiasi del range generazionale considerato generi con un amante, è statisticamente trascurabile la probabilità che provenga da un bacino genetico con dei marker differenti!
    Inoltre, cosa ancora più importante... dal punto di vista statistico la storia individuale del singolo ente non ha alcun significato (al limite produce deviazioni sistematiche, come già detto prima)!
    Se le sistematiche sono statisticamente sotto controllo, il lavoro ha un senso scientifico, altroché "si invalida da solo"!
    Torno alla lettura,
    Marco.

    RispondiElimina
  12. Gentile Marco,
    le avevo detto che discutere di tecnicismi in questa sede è problematico (o inutile, e ne resto convinto) ma le preannuncio che lei commette un notevole errore metodologico.
    Quando avrà finito la lettura me lo faccia sapere e vedremo di parlarne.
    Una preghiera: non butti sul tecnico le mie osservazioni che erano di tutt'altra natura (altrimenti non le avrei pubblicate su Kissa Qani). Da quello che vedo sta osservando il contenuto scientifico del lavoro (carente, come ho avuto modo di spiegarle, perché non è con una battuta frettolosa che si elimina Cardulinu) e trascura il nocciolo del problema, che, come ho spiegatio, è altro.
    Un cordiale saluto
    Gabriele

    RispondiElimina
  13. Salve di nuovo Gabriele,
    ho letto la tesi.

    Non mi addentro in "tecnicismi" se lei lo ritiene problematico, tuttavia mi preme sottolineare che la tesi è metodologicamente ineccepibile (compresa la "scelta dei cognomi" correlata ad altri parametri), anche perché:
    a) ciò che vi è scritto corrisponde a quanto mi era stato spiegato prima del prelievo;
    b) mi sento vicino all'autrice della tesi che, dopo aver svolto un lavoro così arduo e complesso, non merita di vederlo criticato in questa maniera dozzinale.

    Potrebbero sorgere delle questioni sotto altri punti (non entro nei dettagli ma non sono relativi al metodo scientifico, che è monolitico) che certo non sono quelli da lei sottolineati, né appartengono a categorie "ideologiche" sovra-interpretative.

    Aggiungo un'osservazione a cuore aperto, in merito al titolaccio scelto per il suo post sul "razzismo nascosto nella Scienza". La Scienza, infatti, è una casa molto accogliente sia per chi (come me) ci abita, sia per chi non ci abita (ma che è sempre benvenuto). Tuttavia ha una porta fortunatamente solida, pertanto o si hanno le chiavi per entrare oppure è necessario bussare, farsi aprire, e poi se possibile camminare in silenzio e in punta di piedi. Entrarvi a spallate come sta tentando di fare lei non è un'operazione fattibile né consigliata. Se poi dopo la prima spallata si continua e si insiste, si rischia di fare i capitomboli come i clowns, e le assicuro che non fanno ridere soltanto agli abitanti della casa affacciati dalle finestre, ma pure i passanti.

    Non commenterò oltre, la mia posizione credo di averla espressa più che chiaramente. Le consiglio di lasciare perdere la lettura di testi a indirizzo scientifico, oppure di farseli spiegare da qualcuno competente prima di commentarli in pubblico.

    Saluti,
    Marco.

    RispondiElimina
  14. Gentile Marco,
    ci sono poche cose che uno scienziato non dovrebbe mai fare, ma di sicuro una di esse è presumere di parlare con qualcuno che “non abita la scienza” (sbagliandosi). Si corre il rischio di fare una figura da clown senza esserlo e ciò è molto più buffo di quanto immagina, perché i clown sono pagati per far ridere e gli scienziati (che si comportano da clown) no: i greci nostri avi la chiamavano ybris (se mi concede la traslitterazione) e gli dei la punivano con pene severe.
    Noto con piacere che abbandona i tecnicismi (e fa bene) però non risponde a due questioni che le ho posto:
    1) A che pro considerare i cognomi se non assicurano la condivisione del DNA (cioè la Moglie di Cardulinu è donna di facili costumi)? Lei risponde: «[…] qualora anche la moglie (o una delle mogli) di un Cardulinu qualsiasi del range generazionale considerato generi con un amante, è statisticamente trascurabile la probabilità che provenga da un bacino genetico con dei marker differenti», Bene: chi glielo ha detto? Ci sono dei dati in proposito citati nella tesi? La risposta è no, si tratta di una sua affermazione apodittica non suffragata da dati: questa lei la chiama “scienza”? Questo sarebbe invece l’errore metodologico (grave) di cui le parlavo nella mia prima risposta e basterebbe a risponderle che farebbe bene a pesare le parole prima di parlare di pagliacci. Peccato che non è solo una sua idea, ma è anche sbagliata per considerazioni storiche: l’area geografica di riferimento è infatti storicamente nota per i continui apporti di popolazioni esterne per via dello sfruttamento minerario. Inoltre: se generare dei figli con uomini diversi dal marito (di cui lei non sa dare la consistenza statistica per carenza di dati) non inficiasse il risultato: mi dice per quale motivo incaponirsi con i cognomi? Che senso avrebbe?
    2) Potrei anche fermarmi, ma c’è un ulteriore aspetto sul quale lei glissa: è stato studiato il DNA mitocondriale che, come è noto, si trasmette di madre in figlio (la signora Cecioni); che mi dice di questo e del fatto che secondo lei il lavoro sarebbe “scientificamente ineccepibile”? Spero stia scherzando!
    -continua-

    RispondiElimina
  15. Infine l’aspetto che mi interessa più di ogni altro: «Il lavoro conferma un’elevata variabilità della popolazione sarda, che si inserisce nel contesto europeo, mantenendo però una sua particolarità genetica.». Questa è la frase (tra le tante) che ho preso come esempio dalla tesi ed ho riportato nel post. La possiamo girare come le piace (consideri anche il lavoro scientificamente ineccepibile, cosa che non è): le pare il modo di presentare un risultato? Un addetto ai lavori ci legge un errore, ma un non addetto ci legge l’esistenza di una “popolazione sarda” che non esiste e ci associa un “DNA sardo” che è un vero e proprio obbrobrio.
    Certo, potrebbe anche dire che i non addetti ai lavoro non dovrebbero leggere le tesi di laurea (soprattutto quelle mal scritte) ma non è questo il punto che sottolineo, quanto la mancanza di sensibilità di un professore che lavorando nel settore della genetica non capisce quanto possa essere pericoloso commettere leggerezze come questa per la propagazione di idee non solo sbagliate ma razziste. Io la chiamo e lo ripeto: mentalità razzista (che non è solo il razzismo becero ma anche e soprattutto la mancanza di attenzione al tema!)
    Da cui il titolo che si legge così: «possibile che proprio dalla scienza derivi questa mancanza di attenzione che porta a idee razziste?»
    Se le sembra eccessivo, abbia la compiacenza di navigare nel blog in cui scrivo spesso e leggere un commento ad una delle tante conversazioni trovate in rete tra persone «normali», magari si renderà conto dell’impatto potenziale di una cattiva gestione del lessico scientifico.

    Infine: come ha potuto verificare, la tesi in oggetto è in rete (assieme a numerose altre nel quadro del progetto www.iskire.com). Quindi noi possiamo andare avanti a discutere quanto ci pare e piace, ma la tesi resta là a disposizione (posto che nessuno la levi) e ciascuno interessato potrà farsi un’idea senza propendere per me o per lei.
    Cordialmente,

    Gabriele

    RispondiElimina
  16. Gentile Gabriele,
    mi ero ripromesso di non tornare sulla discussione, da un lato dispiaciuto perché continuo a non trovare congrue risposte da parte sua ai miei tentativi di riportare la discussione sui binari scientifici, dall'altro dispiaciuto perché la discussione nasce, pur se da errati presupposti, su aspetti interessanti (ma inapplicabili a questo caso particolare, per quanto lei insista) sul dilemma tra scienza ed etica.
    La questione c'è ed è aperta infatti: spesso la ricerca "sfora" su campi molto delicati e si arriva a questo tipo di criticità.
    Lasciando perdere esempi estremi come James Watson e le sue ricerche deliranti sulla differenza di IQ tra neri e bianchi, la zona grigia è molto spessa.
    Tutte le volte che vengono pubblicati studi sulla differenza tra cervello umano maschile e femminile, ad esempio, questo solleva ondate polemiche sul ruolo della scienza nella questione "femminista", ed è giusto che sia così visto che la pubblicazione di un risultato imparziale, infondato o inattendibile può sempre portare a conseguenze serie sulla percezione sociale della realtà fenomenologica (e può avere, quindi, conseguenze istituzionali, legislative, ecc).
    E, beninteso, sono questioni scientifiche ma soprattutto etiche che già di per sé vanno affrontate con le pinze e con gli strumenti giusti.
    Torno quindi su quanto detto per chiarire la mia posizione (se non fosse abbastanza chiara) su questo tipo di questioni: sono molto delicate ed importanti.
    Tuttavia, in questo caso da lei sollevato non c'è nulla del genere: c'è solo una confusione di fondo!
    Vi è tra terminologia scientifica e di uso quotidiano ("popolazione", "contaminazione", ecc), vi è inoltre un'incomprensione dei concetti basilari dell'analisi statistica come la differenza tra fluttuazione casuale e sistematica (quelli che lei chiama "tecnicismi"), e altro ancora.
    È un problema di linguaggio: se io leggessi Delitto e Castigo in russo (nella convinzione di arrivare fino in fondo e nella presunzione di capirne il linguaggio), probabilmente mi annoierebbe e lo troverei un libro pessimo, scritto in modo pedestre senza neppure un attento uso degli accenti. Poi realizzerei che non ho capito nulla e abbandonerei la presunzione di conoscere il russo. Poi comprerei la traduzione italiana.
    Quello che sto cercando di fare è cercare di fornirle la traduzione italiana di Delitto e Castigo, però lei prima deve prendere atto di non conoscere il russo, altrimenti non si arriva da nessuna parte!
    Lasci perdere il libro scritto in lingua originale: non le serve a niente!

    RispondiElimina
  17. Provo ancora a ripeterle che non sto dicendo che la tesi è perfetta, avrà i suoi difetti, magari l'impostazione può essere perfezionata, la terminologia ripulita, finanche la formattazione può essere curata meglio... ma questo non c'entra col metodo scientifico utilizzato, il linguaggio o i risultati!
    Tra l'altro, voglio precisare, neppure io che capisco il lessico, la struttura, la prassi della ricerca e tutti i "tecnicismi" vari mi posso addentrare nello specifico di alcune questioni che sono ovviamente strettamente "per addetti ai lavori".
    A questo punto, la cosa migliore da fare è aprire una (seppur tardiva) discussione con la diretta interessata che sicuramente saprà divulgare meglio le idee contenute nella tesi e chiarirà che quanto percepito è molto diverso da quanto contenuto nel testo.
    Anche perché dopo mesi spesi a realizzare un lavoro di tesi specialistica non è molto corretto che una ricerca su Google del testo indicizzi un post di (inopportune) critiche assieme al testo in questione senza che l'autrice ne sia al corrente e abbia la possibilità di difendere il suo lavoro nella stessa sede.
    Tralascio molte delle riflessioni che avrei, ma un'ultima osservazione di metodo la voglio fare, concentrandomi sulla sua ultima affermazione: "Quindi noi possiamo andare avanti a discutere quanto ci pare e piace, ma la tesi resta là a disposizione (posto che nessuno la levi) e ciascuno interessato potrà farsi un'idea senza propendere per me o per lei."
    Questa frase non tiene conto di una cosa semplice: la realtà.
    Noi non stiamo confrontando due opinioni, stiamo parlando di linguaggio scientifico che lei non conosce e io conosco.
    A sommare 2 e 2 si ottiene sempre lo stesso risultato, sebbene magari 4 possa non piacere e il 3 sia un numero più carino e politicamente corretto. Infine, la questione non è che ognuno legga la tesi e si faccia un'idea, questo anzi è proprio l'errore di fondo visto che la maggioranza della popolazione mondiale non ha un bagaglio di studi in biologia genetica comparata. Se anche ci fosse un cospicuo numero di persone a difendere l'opinione che 3 sia il risultato più corretto nella somma tra 2 e 2, l'opinione non andrebbe presa in considerazione in quanto non aderente alla realtà.
    Quello che non bisogna fare, senza averne gli strumenti, è avere la pretesa di capire (o avere un'opinione)! Sarebbe stato forse più opportuno contattare personalmente la Fenu e magari chiederle un'intervista sul suo lavoro dandole l'opportunità di spiegare e dandosi l'opportunità di capire... sarà per la prossima volta!
    Marco.

    RispondiElimina
  18. Inserisco la mia idea, che tengo a precisare, esattamente come ho già fatto con Marco. Il blog è aperto a tutti e, la redazione, non ha l'autorità di valutare la valenza scientifica dei post trattati. Ci limitiamo - invece - ad accertarci che all'interno degli articoli non vi siano frasi che vadano contro la nostra netiquette. Per intenderci: se recensiamo un film e scriviamo che il film fa schifo, non andiamo a vedere se Ghezzi (o chi per lui) dice che fa tecnicamente schifo o meno; ci limitiamo a respingere post che contengano insulti contro il regista o gli attori. Internet è bello anche per questo: si può commentare quanto si vuole, senza essere censurati, e - nel caso - smentire il contenuto dei nostri articoli. Cosa che non si può fare nei giornali cartacei. Se poi, per avere una discussione, bisogna prima presentarsi specificando il proprio titolo, beh, allora credo che si rischi di incorrere in presunzioni non utili al dialogo. Capita spesso anche a me, che sono specializzato in Scienze Politiche (Relazioni Internazionali, Governance) di parlare di, che so, "globalizzazione" con persone che pensano di avere "uno scambio di opinioni" e magari, sull'argomento, hanno letto un articolo su Repubblica o sul Corriere. Non sanno, invece, che sulla globalizzazione (sempre per stare all'esempio) sono stati scritti tantissimi libri con ricerche empiriche, teoriche, etc etc. Non per questo evito di dire la mia etichettando il mio interlocutore come un ignorante o chissà che. Potrebbe anche capitarmi - così - di avere una discussione costruttiva sia per me che per gli altri. In ogni caso, visto che non sono un esperto di quel che parlate e non ho letto la tesi, cercherò di stare fuori dalla discussione e vi lascio continuare. Sperando che, in una situazione analoga in cui si parla - che so - di economia globale, gli altri facciano lo stesso. Buona giornata.

    Riccardo

    RispondiElimina
  19. Un ultimo appunto: la tesi è stata messa scaricabile online. Si presume quindi essere una tesi divulgativa e, vista l'esposizione, anche criticabile. Non credo che - esprimendo un'opinione sulla tesi - si metta in discussione alcunché la persona che la porta avanti. Nei libri di sociologia che leggo, per fare un esempio, sono molti gli autori che criticano le posizioni altrui, senza per questo essere offensivi o chissà cosa. Tutto il resto (ad esempio sulle crociate al contrario) è già stato detto. Chissà in quanti, leggendola, la pensano come Marco e - invece - quanti altri, la pensano come Gabriele. Pur senza rendere pubblica la propria posizione. Sarebbe opportuno, quindi, essere maggiormente auto-critici. Ma questa resta, in ogni caso, la mia idea.

    Riccardo S.

    RispondiElimina
  20. Interessante discussione. Vorrei aggiungere qualche mia personale considerazione, naturalmente non "tecnica", né davvero scientifica, bensì solamente di natura forse antropologica, affidandomi (del tutto a naso, temo) al senso comune.

    Mi ricordo che - negli studi di popolazione sulla litiasi urinaria - si notò presto che alcune etnie non erano affette da litiasi renale (Bantu ed aborigeni australiani, ad esempio).
    Ingenuamente, si pensò subito ad un "fattore protettivo" ereditario che quelle popolazioni "dovevano" possedere...
    Questo era ed è - di fatto - un pensiero razzista. Esso può essere innocente e assolutamente non inteso a fare una discriminazione di valore biologico tra esseri umani (quindi, non ineso ad offendere alcuno).
    Un pensiero razzista resta tale anche se esso lo è inconsapevolmente, naturalmente, spontaneamente, senza alcuna malizia.
    Noi tutti siamo così, in realtà: siamo spontaneamente, istintivamente tutti razzisti. Solamente, accade che alcuni di noi ci ragionano sopra, ponderano e pensano al problema razziale, anche perché forse sono immediatamente più sensibili ad esso.
    - Altri no.
    - Altri ancora formulano attivamente pensieri costruiti sulla discriminazione su base biologica, che è un abominio in sè e molti altri ne genera con l'andar del tempo.

    Per quanti riguarda la litiasi, la questione è già da tempo risolta: la dieta "povera" (povera di grassi animali e di zuccheri e ricca di fibre) delle popolazioni primitive elimina di fatto la litiasi renale (se troppo povera, facilita, semmai, quella vescicale). Di questo si ebbe conferma quando l'Europa dovette sperimentare un lungo periodo di "dieta povera" involontaria durante l'ultima guerra mondiale: la litiasi renale scomparve per alcuni anni. Poi riprese, con la ripresa economica.
    I rappresentanti di popolazione "primitive" che s'itegravano nella società occidentale e ne assumevano la dieta, presentavano la stessa incidenza di litiasi renale degli occidentali...

    Malgrado molti altri esperimenti e dimostrazioni a livello mondiale - atti a spazzarne via ogni residuo - il razzismo invece è rimasto. Bisogna pensarci bene e riconoscerlo sempre e subito.

    Quindi la revisione dei termini, oppure la correzione di alcuni metodi e procedure - come qualcuno consiglia - può senz'altro servire per l'articolo citato.
    Ma suggerisco che davvero il fattore di gran lunga più importante e fondamentale si trovi nella mente e nelle convinzioni più intime di che ha scritto e controllato quei termini e seguito quei metodi.
    Se mi assicurasse che da ora in poi "ci penserà su un po' più a lungo" prima di scrivere, lo crederei senz'altro, e volentieri.

    RispondiElimina
  21. Ma gli chiederei anche quali sono i "popoli" che HANNO LA TENDENZA A MESCOLARSI CON I DOMINATORI, in questo evidentemente distinguendosi dal "popolo sardo", che l'autore ritiene non lo abbia fatto...E pretenderei, qui, una risposta soddisfacente.
    Di scuse per l'offesa alla ragione.

    RispondiElimina
  22. Gentile Marco (e redazione di Kissa Qani),
    mi scuso per il tempo intercorso (a volte lavoro anch’io!). Molto in breve.
    Che lei conosca il linguaggio scientifico ed io no è una sua valutazione priva di riscontro, un altro errore metodologico (grave). Nei blog come Kissa Qani non ha senso parlare di tecnicismi, ma ciascuno di noi si rende conto che quando le dico che avere un cognome non significa condividere un patrimonio genetico e lei risponde che ciò è statisticamente improbabile ma poi non cita le prove (che non ci sono) allora non è un problema di linguaggio ma di metodo: quello scientifico che alla tesi manca (io non mi permetto di dirle che manca anche a lei, ciascuno di coloro che legge si farà un’opinione in merito).
    Non ritorno sul problema del DNA mitocondriale perché è superfluo, visto che non intende rispondere.
    Quanto alla terminologia, lei commette un altro errore di non poco conto: la tesi non genera equivoci a sfondo razzista per colpa di una terminologia tecnica di difficile comprensione (come vorrebbe lei) ma perché questa terminologia è usata in maniera errata, come ho sottolineato citando testualmente un passo (c’è una bella differenza tra «una» popolazione sarda e «la» popolazione sarda!)
    Infine, concordo con Riccardo: le tesi sono consultabili in rete e molta gente è affascinata dal tema della ricerca genetica: una tesi scientificamente traballante (per non dir di peggio) e scritta in modo sconsiderato non fa bene a nessuno. Su questo il relatore dovrebbe interrogarsi ( e non è detto che dopo questo scambio di commenti non lo stia facendo: ma che gli sarebbe costato rileggere la tesina con attenzione e correggere gli strafalcioni più evidenti?). Che ne resti traccia su internet, invece è molto positivo: discutere e criticare non ha mai fatto male a nessuno! Farà bene alche al professore.
    Sulla valenza scientifica del lavoro, infine, ci penseranno i suoi colleghi (del relatore, se deciderà di sottoporre un articolo ad una rivista con referaggio). Sarei contento di vedere i commenti su un lavoro che studia una trasmissione matrilineare adottando come criterio di scelta un parametro patrilineare, un vero spasso!
    Cordialmente,
    Gabriele

    RispondiElimina
  23. Chiedo scusa a Gabriele se il suo commento è stato pubblicato solamente adesso ma, non so per quale misterioso motivo, veniva segnalato come "spam". In ogni caso: problema risolto.

    RispondiElimina
  24. Salve a tutti, mi sento tirato in ballo nella discussione, essendo il relatore della tesi in questione. Mi scuso per non avere avuto il tempo di leggere tutti gli interventi, lo farò in seguito, ma penso di poter intervenire sula base della prima decina. Come è stato fatto rilevare da un utente (mi pare Quarkonio), trovo quanto meno bizzarro valutare uno studio scientifico da una tesi di laurea, visto che, senza nulla togliere alla studentessa (peraltro molto brava), una tesi si occupa solitamente di un aspetto marginale, inserito in un contesto più ampio. D’altronde sarebbe difficile fare sì che ogni tesi (con le lauree triennali dobbiamo dare un argomento a decine di studenti ogni anno) possa essere una pietra miliare della scienza. Il vero scopo del lavoro era quello di vedere se le Mendelian Breeding Units, utili per studi caso-controllo di associazione con malattie genetiche, essendo ottenute con una drastica selezione del campione, possano per questo motivo avere subito effetti distorsivi delle loro frequenze rispetto ad un campione casuale della popolazione di riferimento. Il modello di studio era il DNA mitocondriale, che non c’entra nulla con il cognome essendo ereditato in linea materna, ma è stato scelto perché particolarmente sensibile a problematiche di campionamento. Il lavoro finale si può leggere sul n.34 della rivista (con peer-review) Genetics and Molecular Biology. Le Mendelian Breedings Unit che dovevamo testare le avevamo, si trattava quindi di trovare un adeguato campione di riferimento, e lo abbiamo individuato in uno selezionato usando la tecnica dei cognomi attraverso la metodologia messa a punto da Zei, una genetista allieva di Cavalli Sforza.
    Il metodo dei cognomi di Zei è basato sulla maggiore frequenza di un certo cognome in una specifica regione geografica (non solo della Sardegna ovviamente) ed esclude i cognomi polifiletici, ovvero quelli che non possono essere ricondotti ad una unica zona. Naturalmente, trattandosi di un carattere culturale, ciò non esclude che ci sia qualche individuo il cui DNA non ha nulla a che vedere con la zona individuata dal cognome (adozioni, illegittimità) o lo ha solo per metà (madre immigrata da altra area). Complessivamente però, a meno di non fare un lungo studio familiare campione per campione (cosa del tutto impraticabile), il campione così selezionato mi dà maggiori probabilità di rappresentare più fedelmente la situazione dell’area prima di importanti fenomeni migratori recenti. Sarebbe stato infatti molto strano che avessimo preso come riferimento un campione in cui comparisse una quota di DNA di immigrati africani, asiatici o est-europei, attuali componenti non trascurabili della popolazione residente in Sardegna, come anche di persone immigrate da altre regioni italiane in tempi recenti, visto che questi non verrebbero certo presi in considerazione se si dovessero analizzare le associazioni genetiche con patologie ad alta incidenza in Sardegna.
    Quello che mi preme evidenziare è che si considera tipico “sardo”, e nella fattispecie di questo lavoro “sardo del sud-ovest”, ogni cognome che risulti frequente nell’area studiata e raro altrove: il cognome “Barbarossa”, se risultasse avere il suo picco i frequenza nell’area in questione, andrebbe benissimo, mentre escluderei un cognome polifiletico, presente ad alte frequenze anche in aree diverse dalla Sardegna sud-occidentale, per quanto possa sembrare più sardo di Barbarossa. E quindi non solo quelli che terminano in “u” o cose del genere, come sembra adombrare l’autore del blog, a cui quindi giro volentieri l’accusa di “razzismo”.
    D’altra parte, tutte le tre persone firmatarie della tesi (Fenu, Sanna e Francalacci) vivono da oltre 20 anni in Sardegna, ma solo per due di queste i geni sono risultanti dalla libera combinazione di quelli presenti nel pool genico della Sardegna da svariate generazioni. Trovate voi l’intruso…
    Cordiali saluti
    Paolo Francalacci

    RispondiElimina