“Acqua
in Palestina: non un problema di scarsità, ma di distribuzione”. È
il tema di un incontro che si è svolto a Beit Sahour tra
organizzazioni impegnate nel settore. Che svela la realtà allarmante
della crisi idrica in Palestina.
"Water
in Palestine: Not a scarcity but a distribution problem". Questo
il titolo scelto per l'incontro tenutosi martedì 18 settembre presso
la sede dell'Alternative Information Center di Beit Sahour in
collaborazione con l'Emergency Water and Sanitation Hygiene (EWASH),
un gruppo di circa trenta organizzazioni impegnate nel settore
sanitario e idrico dei Territori Palestinesi Occupati.
Il
gruppo è stato fondato nel 2002 e può contare sulla presenza di Ong
internazionali (Oxfam e Gvc), Ong locali (Ma'an Development e Arij),
agenzie dell'Onu (Ocha e Unicef) ed enti dell'Autorità Nazionale
Palestinese.
Il
portavoce dell'EWASH ha ricostruito il problema idrico in West Bank e
nella Striscia di Gaza, con un’analisi che ha illustrato i falsi
miti a confronto con la realtà dei fatti: ci si appella spesso alla
scarsità di piogge dei Territori Palestinesi, mentre i dati parlano
di una piovosità media in linea con altri paesi europei, con
differenze nella distribuzione stagionale delle precipitazioni.
La
costruzione del moderno mito israeliano del "deserto fiorito"
è stato possibile grazie allo sfruttamento massiccio delle falde
acquifere palestinesi, una cifra che si attesta intorno all'86% di
queste in West Bank, svelando la drammatica considerazione che
l'ipotesi dei due Stati ne vedrebbe uno senza risorse idriche.
La
parentesi storica elenca gli ordini militari israeliani che hanno
colpito le risorse acquifere palestinesi, in particolare il n.98, che
trasferisce la gestione idrica al Comando Militare Israeliano, il
n.158, che vieta nuove installazioni idriche nei Territori
Palestinesi, e il n. 291 che annulla tutti gli accordi sull'acqua
stipulati prima del 1967.
Gli
accordi di Oslo II del 1995 hanno cristallizzato una situazione già
difficile, con lo sfruttamento delle falde acquifere dell'intera area
a favore di Israele per una percentuale dell'80% contro il rimanente
palestinese.
A
questo si è aggiunta la creazione del Joint Water Committee,
un'agenzia garante per l'acqua composta da esperti israeliani e
palestinesi, divenuta un altro strumento dell'occupazione con il
potere di veto da parte israeliana.
L'Organizzazione
mondiale della sanità (Oms) in passato ha affermato che la soglia
ideale di acqua per l'igiene e il consumo della persona si attesta
intorno ai 100 litri giornalieri.
I
dati riguardanti i Territori Palestinesi sono però assai più bassi
con un consumo medio di 70 litri: cifre che tendono al ribasso per un
quarto della popolazione (50 litri), toccando la crisi idrica per gli
abitanti delle Southern Hebron Hills, con un consumo quotidiano di
10/15 litri.
La
disparità nell'utilizzo dell'acqua è andata aggravandosi negli
ultimi dieci anni con la creazione del Muro che, nel suo tracciato,
ha annesso fertili terre palestinesi ricche di fonti acquifere, in
modo particolare nelle zone settentrionali di Tulkarem e Qalqilya.
In
questa area della West Bank il 90% della popolazione dipende in gran
parte da Mekorot, la Compagnia Nazionale Israeliana dell'Acqua.
Nel
complesso, cifre che rimangono allarmanti nonostante diminuiscano
spostandosi verso sud: 60% nell'area di Betlemme e 52% nell'intera
area della Cisgiordania.
Non
solo dipendenza ma anche discriminazione, come si può notare dal
migliore approvvigionamento idrico verso le colonie, che possono
beneficiare di una rete idrica di recente tecnologia, con perdite
limitate e una pressione idrica elevata, fatto testimoniato dalla
contrapposizione tra Tubas e l'adiacente colonia di Beka'ot: 30 litri
quotidiani per la prima, contro i 410 litri della seconda.
In
un periodo di proteste per il caro-vita in Cisgiordania non si può
tralasciare il prezzo dell'acqua, che raggiunge i 60 NIS per metro
cubo in alcune comunità delle Southern Hebron Hills o della Jordan
Valley. Un costo dieci volte superiore alla media dei Territori
Palestinesi.
In
ultimo è stato affrontato il problema idrico nella Striscia di Gaza,
costretta ad attingere l'acqua dalla falda costiera, con un tasso di
salinità elevato e scarse centrali di desalinizzazione, che in tale
processo si rendono anche responsabili del riversamento a mare di
numerosi agenti chimici inquinanti.
Il
recente rapporto della Nazioni Unite sull'invivibilità dellaStriscia a partire dal 2020 nasce proprio da queste considerazioni.
L’accesso
all'acqua è da considerarsi infatti un diritto inalienabile per la
persona, e la situazione globale non pare andare incontro alle
necessità della popolazione.
Nei
Territori Palestinesi la crisi è già realtà.
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