Samer Issawi, 33 anni di Gerusalemme Est, e altri detenuti politici palestinesi rischiano la vita perché in sciopero della fame nelle carceri israeliane. Da oltre 200 giorni, infatti, portano avanti la battaglia contro la detenzione amministrativa (il carcere senza processo e accuse provate) già condotta da altri prigionieri in passato. L'esempio più importante è quello dello scorso anno, quando Khader Adnan e Hana Shalabi portarono più di duemila detenuti palestinesi a rifiutare il cibo per 66 giorni, costringendo le autorità carcerarie israeliane a concedere un miglioramento delle condizioni dei prigionieri e trascinando le carceri dell'”unica democrazia del Medio Oriente” sotto i riflettori della comunità internazionale. Issawi, che ha perduto 47 kg e vive su di una sedia a rotelle, è ancora vivo solo perché nell'infermeria del carcere di Ramle gli iniettano flebo con glucosio, sali minerali e altri nutrimenti.
Arrestato e incarcerato nel 2002 per appartenenza a un gruppo armato (attraverso la tristemente nota “detenzione amministrativa”, pratica quasi standard per i prigionieri palestinesi: nessun capo d'accusa, nessuna difesa, nessun processo, solo una sentenza della corte militare), Issawi era stato rilasciato nell'ottobre del 2011 nel quadro dello scambio tra il soldato israeliano Ghilad Shalit e un migliaio di detenuti palestinesi. A luglio 2012 però è stato accusato di aver violato i termini dell'accordo di rilascio: non uscire da Gerusalemme [confini “labili, che cambiano continuamente a seconda dei decreti delle autorità israeliane” a detta del padre di Samer]. Quindi è stato arrestato e incarcerato. Dopo la promessa israeliana di rilasciarlo il 24 gennaio, Rikhawi aveva ripreso a nutrirsi. Il rilascio però non è mai avvenuto. Da allora protesta senza che da Israele arrivino segnali di flessibilità. I giudici si riuniranno solo tra un mese per esaminare la sua richiesta di scarcerazione.
La
madre, tra le lacrime, racconta del suo dolore immenso: «Questa non
è vita, è sofferenza continua. Uno dei nostri figli, Fadi, è stato
ucciso da un soldato israeliano nel 1994, aveva
solo 16 anni. Samer è in prigione. In un altro carcere, Israele sta
detenendo anche un altro dei nostri figli, Medhat: quando Samer ha
cominciato lo sciopero della fame, Medhat ha deciso di seguirlo, in
solidarietà con la sua battaglia. Per punizione, le autorità
carcerarie lo hanno messo in isolamento, non possiamo vederlo né
parlargli. Ho una figlia avvocato, Shireen: l'hanno minacciata di
toglierle la licenza se tenta di aiutare Samer». «Se Israele - ha
detto Richard
Falk, Rapporteur
delle Nazioni Unite per i Diritti Umani - non è in grado di portare
prove di una loro colpevolezza, allora devono essere scarcerati
subito».
Intanto
sulla rete si moltiplicano gli appelli per salvare la vita di Samer
Issawi
e
degli altri detenuti politici palestinesi in sciopero della fame
nelle carceri israeliane. Assieme agli appelli sono state moltissime
le manifestazioni in Cisgiordania e Gaza a sostegno della causa, alle
quali i militari israeliani reagiscono con la forza. Si è mossa
anche l'ANP: il presidente Abu
Mazen
ha
fatto appello alla comunità internazionale affinché intervenga e
salvi la vita dei prigionieri in sciopero della fame.
Secondo l'organizzazione Addameer, che si occupa del supporto e dei
diritti umani dei prigionieri, circa il 40% della popolazione
palestinese maschile è passata per le carceri israeliane a un certo
punto della propria vita. Spesso senza capi d'accusa né processo.
Doc
Jazz, artista e cantante Hip Hop palestinese, ha dedicato loro un
canzone e un video.
Si intitola “Hungry” (“Affamati”) e, come spiega lui stesso,
«è dedicata al coraggio dei palestinesi in sciopero della fame
trattenuti in regime di “detenzione amministrativa” dalle forze
di occupazione israeliane».
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