La
città di Cagliari partecipa quest'anno, per la prima volta, alla
“Israeli Apartheid Week” (IAW), un evento annuale, giunto alla IX
edizione, che coinvolge città e Università in tutto il mondo con lo
scopo di educare ed informare le persone, attraverso conferenze,
proiezioni di film e dibattiti, riguardo la situazione di apartheid
che lo Stato di Israele sta attuando da decenni, nei confronti dei
palestinesi, all'interno dei territori occupati e in Israele.
Venerdì 8 marzo si è svolto, nell'aula magna della Facoltà di Scienze Politiche, un incontro-dibattito dal titolo “Le donne nella resistenza palestinese”, un tema importante, che ci fa vedere più da vicino volti, nomi e storie, che non possono e non devono rimanere nascosti. Donne che si trovano a dover affrontare una duplice lotta: da una parte la lotta per la resistenza del proprio popolo e dall'altra le lotte quotidiane della vita, nella famiglia, nel lavoro, nella politica, nella società.
In
apertura dell'incontro è intervenuta in videoconferenza, l'attivista
palestinese Leila Khaled. Nata ad Haifa nel 1944, è divenuta ormai
un'icona femminile della resistenza palestinese. È stata la prima
donna a partecipare ad alcuni dirottamenti aerei pacifici e
dimostrativi alla fine degli anni '60, con lo scopo di catturare
l'attenzione della comunità internazionale sulla situazione
palestinese. Grande attivista e punto di riferimento per tante donne
palestinesi, membro del Fronte Popolare per la Liberazione della
Palestina (FPLP) e attualmente componente del Consiglio Legislativo
Palestinese (il Parlamento palestinese).
Leila
inizia il suo discorso ricordando Hugo Chavez e il suo costante
impegno nel sostenere la causa palestinese. Spiega poi ai presenti
quali sono le umilianti azioni che Israele continua a portare avanti
nei confronti dei palestinesi, gli abusi e le aggressioni quotidiane,
come, ad esempio, lo sradicamento di migliaia di alberi per impedire
la raccolta di olive, una delle principali attività economiche
palestinesi, la confisca delle terre e la conseguente costruzione di
proprie colonie. Ultimamente viene impedito ai palestinesi di
camminare sulle strade delle colonie, sono state create linee di
autobus per soli palestinesi, esattamente come era accaduto in
Sudafrica negli anni '50. Non è forse questa una politica di
segregazione razziale? Non è forse giusto parlare allora di
“apartheid”, che in afrikaans significa appunto
“separazione”?
Una
politica prepotente che costruisce muri di separazione, muri
condannati dal tribunale dell'Aia, ma Israele non si sottomette alla
legge internazionale poiché si considera al di sopra di essa.
«Israele opera una vera e
propria pulizia etnica dal 1947 e allo stesso tempo parla di pace.
Noi – continua Leila – non accettiamo la pace dei nemici perché
significherebbe per noi sottomissione. La giusta pace è la pace dei
popoli, che mantiene la “dignità” dei popoli».
Leila
poi concentra la sua attenzione sul ruolo che ha e che ha avuto la
comunità internazionale e la società civile, sostenendo che il
sionismo è riuscito a convincere il mondo intero che il popolo
israeliano sia stato l'unica vittima del nazismo, quando invece tutti
i popoli europei lo sono stati. E il mondo ha in parte accettato la
versione sionista e imperialista, la grande menzogna di “una terra
senza popolo e un popolo senza terra” assecondando, in questo modo,
quella che si può chiamare la tragedia del secolo. «Chiedo
al mondo di indagare le ragioni del conflitto e di correggere la
storia insieme a noi. Chiedo di boicottare l'esercito e le accademie
israeliane. Dove c'è occupazione, c'è resistenza, è una legge
naturale e umana. Con la vostra lotta e partecipazione siamo più
vicini alla vittoria».
L'incontro
prosegue con la presentazione di un'altra figura femminile importante
nella lotta e resistenza palestinese: Rafeef Ziadah. Nata nel 1978 fa
parte della terza generazione di rifugiati palestinesi. Si trovava
nel campo profughi di “Shatila” in Libano quando, all'età di 4
anni, perse i genitori, in seguito al famoso massacro ad opera dei
falangisti, in cui riuscì a salvarsi nascondendosi per ore sotto il
letto. È riuscita poi a scappare, vivendo in diverse città ed
attualmente si trova in Canada.
Rafeef
inizia il suo attivismo da giovanissima, è membro fondatore della
“Coalition Against Israeli Apartheid” (CAIA), sostenitrice della
campagna “Boycott, Divestment and Sanctions” (BDS)
e membro del consiglio direttivo della “Palestinian Academic and
Cultural Boycott Initiative” (PACBI).
Rafeef
unisce il suo attivismo con la poesia, come strumento di lotta per la
rivendicazione e riaffermazione del suo popolo, e contro la
deumanizzazione dei media nei confronti dei palestinesi. Così come
le terre, Israele occupa e attacca anche la cultura palestinese,
cercando di convincere che non esiste terra, non esiste popolo, non
esiste cultura. Non è facile cercare di mantenere e rafforzare la
propria identità culturale, per chi vive da rifugiato o
perseguitato, ma Rafeef, con la sua arte e le sue poesie, cerca,
oltre che di informare e far conoscere, anche di esprimere il suo
essere palestinese, lontano dalla sua terra. Significativa la sua
frase, durante la recitazione di una sua poesia intitolata “Sfumature
di rabbia”, in cui dice: «Permettetemi
di parlare la mia lingua, prima che loro occupino anche il mio
linguaggio».
Il
suo album è intitolato “Hadeel”, il suono delle colombe, ed è
dedicato ai bambini di Gaza che nonostante le bombe, trovano ancora
il coraggio di far volare gli aquiloni e sentono ancora il suono
delle colombe nei cieli di Gaza.
L'incontro
si conclude con il dibattito in cui vengono proposti temi e
iniziative importanti. Tra questi, ad esempio, la ancora poco
conosciuta iniziativa di boicottaggio accademico nei confronti delle
Università israeliane che consiste nella non collaborazione con
esse. Il prossimo appuntamento della settimana contro l'apartheid
israeliano si terrà mercoledì 20 Marzo con la presentazione del
libro “Festa di Rovine” di Miriam Marino, ex Clinica Aresu.
FREE PALESTINE!
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