domenica 4 settembre 2011

LA FINE DEL MONOLOGO OCCIDENTALE E LA SCOPERTA DELL'ALTRO di Marcella Sorgia


Episodi quotidiani di intolleranza nei confronti della "diversità" in generale a cui assistiamo nonché un’osservazione sugli avvenimenti politici nazionali ed internazionali e conflitti armati mi hanno spinto a fare le seguenti considerazioni. Sulla base di studi e riflessioni su cui da anni lavoro, ho cercato di darmi una spiegazione e ritengo che tutti questi siano da considerarsi sintomi della dissoluzione della modernità, che a mio avviso, ha come caratteristica principale, la necessità di prendere coscienza dell'Altro.

La scoperta dell'Altro, cioè del non omologabile dentro una lettura della storia di tipo univoco e totalizzante, è il tormento delle nostre coscienze oltre che il tormento dei poteri politi e religiosi. L'avanzata dell'Altro all’interno dei nostri confini europei ha segnato già da tempo la fine del monologo occidentale, e allo stesso tempo, nella scoperta dell'Altro risiede il segreto del futuro. Secondo Emmanuel Levinas il senso della crisi della modernità è «il superamento di sé che esige l'epifania dell'Altro, esige cioè l'emersione di quelle forme di umanità che fino ad oggi è stato possibile rimuovere o considerare come sopravvivenze archeologiche della specie».

La negazione dell'Altro è stata, nei secoli, una caratteristica ferma dell'Occidente.

Finora abbiamo comunicato all'interno del monologo occidentale ma non possiamo più proseguire la storia se non inseriamo in questo monologo la presenza dell'Altro come tale. Non l'Altro da relegare, con sentenza irrevocabile, nel nonsenso, né l'Altro da integrare benevolmente dentro la nostra identità, ma l'Altro che resti tale con il quale sia possibile uno scambio che non preveda l'annullamento dell'alterità ma la sua permanenza. Questo è il fatto con cui dovremo cimentarci. Certo questo è un progetto difficile da accettare ed al quale abituarsi, perché implica una rimessa in discussione delle categorie di pensiero a cui normalmente ci rifacciamo, ma indubbiamente oggi è la via più percorribile, a patto però che la critica alla civiltà occidentale non sia puramente gratuita.

Ma perché la riscoperta dell’Altro e il suo riconoscimento oggi diventa una scelta necessaria?

Il mondo occidentale, cha ha condotto il monologo della civiltà sta franando; sta franando il tipo di civiltà che abbiamo costruito e le sue stesse basi. Abbiamo ragionato del progresso dando per scontato che le risorse per la nostra vita fossero assicurate per sempre. Ma non è così, oggi è tutto in forse, non sappiamo se avremo acqua per bere domani, l’ambiente vitale è compromesso, così come è compromessa tutta la nostra vita sulla terra.

Il vecchio paradigma scientifico che, unendo sapere e potere, garantiva all’uomo il potere sulla natura e sulla storia, insieme al trionfo della ragione scientifica e l’assoggettamento del pianeta al dominio dell’uomo tecnologico, sta crollando.

Il pensiero occidentale è fallito in questo presupposto; è fallito anche e soprattutto, il tentativo di omologazione fra la memoria occidentale a la memoria dell’umanità. «Le tribù della terra si riappropriano della memoria, è finita la memoria unica, quella del grande monologo, per cui si presumeva, senza nessuna accentuazione soggettiva di superbia, di poter andare in ogni parte del mondo ad insegnare la nostra storia, cioè La Storia».

É possibile che le culture diverse abbiano qualcosa da dire; è giunto il momento in cui dobbiamo ascoltarle. L’Altro che viene verso di noi quindi, segna la fine del monologo occidentale.

All’interno della crisi della modernità, l’uomo occidentale non deve però rinnegare se stesso e la sua cultura ma bensì deve recuperare la propria identità in maniera critica. Solo che questa identità trova se stessa nel momento in cui essa riconosce l’alterità e la diversità; seguendo questa via si può evitare l’integrazione dell’Altro.

La nostra storia culturale ci ha permesso, in passato, di vivere la nostra soggettività disconoscendo l’alterità, per cui alla domanda “che cos’è l’uomo?”, abbiamo risposto identificando l’uomo con la definizione dell’uomo occidentale; alla domanda “chi è il cristiano?” abbiamo definito l’identità del cristiano occidentale e abbiamo detto agli africani e agli asiatici “se volete essere cristiani questa è la vostra identità”; facendo ciò abbiamo commesso gravi soprusi.

Come agire allora in futuro? L’incontro con l’Altro può avere tre esiti fondamentali, schematizzati in questo modo, facendo riferimento a Todorov e alla sua descrizione dell’approccio di Colombo con gli indiani, approccio che si è perpetrato fino ai nostri giorni nell’incontro tra razze e culture diverse.

La prima modalità di incontro con l’Altro è quella in cui pensiamo a lui come identico a noi stessi, tendiamo a negare la sua differenza e a integrarlo nella nostra identità. Si ha quindi la negazione dell’Altro in nome dell’identità.

Il secondo esito è quello in cui pensiamo l’Altro come differente e perciò inferiore, quindi tendiamo a subordinarlo. Questo è il modo in cui Colombo si è posto nei confronti degli Indios, e dopo di lui i colonizzatori nei secoli successivi.

La terza via, l’unica veramente rispettosa della relazione Io-Altro, sia a livello etico, antropologico e religioso, è quella in cui l’Altro viene pensato come dotato di un’identità diversa dalla nostra, ma che tuttavia è radicata nella comune umanità. É la via dell’uguaglianza nella diversità e della diversità nell’uguaglianza. É appunto “l’epifania” dell’Altro, che comporta, per la struttura relazionale che costituisce il soggetto, una modificazione delle soggettività lungo i tramiti esperienziali che conducono simultaneamente al massimo di centrazione su di sé e al massimo dell’apertura all’alterità. L’Altro è differente eppure uguale a me. Questa è l’affermazione di fondo che fa chiarezza sulle problematiche che siamo chiamati ad affrontare nel prossimo futuro a tutto i livelli. È necessario quindi aprire una dialettica tra le diversità e quindi occorre di base una rivoluzione, la più grande rivoluzione umana, la conversione cioè di una mentalità tale da cambiare i nostri punti di vista sul mondo e sulle relazioni umane. Tali tematiche sono strettamente collegate all’ideale di uomo planetario, cittadino del mondo e alla creazione di una cultura della pace che implicano quindi una rifondazione dell’uomo moderno e la sua cultura in un rapporto di mutua fecondazione con le altre culture.

In questa direzione dovremo muoverci e ciò deve essere perseguito tra uomini di qualsiasi fede e ideologia, perché è l’obiettivo principale che oggi si impone alle nostre coscienze.

2 commenti:

  1. L uomo per natura è sempre stato fondamentalmente egoista. L ego lo ha sempre portato alla prevaricazione sugli altri; ecco il perchè delle guerre, schiavitu', differenze sociali, non accettazione di popoli e razze diverse, fedi diverse...E' molto triste in questo mondo globalizzato che persistano certi atteggiamenti e posizioni ben radicate nel cuore dell uomo. Mi chiedo quando e se tutto questo potra' mai finire..Mi faccio la domanda e la risposta la trovo nella speranza che ho di un mondo migliore che non tardera' a venire..i segni ci sono tutti........non manca molto !

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  2. Saludi a totus, si lassu unu cumenteddu miu a custu artìculu:

    http://ivomurgia.splinder.com/post/25543274

    A si biri

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