lunedì 10 ottobre 2011

LA CARNEFICINA DI ROMAN POLANSKI

Presentato il 1 settembre 2011 al 68° Festival di Venezia, Carnage è il film di Roman Polanski tratto dall’opera teatrale di Yasmina Reza intitolata “Le dieu du carnage”. Quattro genitori si incontrano in un appartamento medio-borghese di New York per discutere civilmente del litigio tra i loro figli, nel quale uno dei due, colpito in viso da un bastone, ha perso due denti; ed eventualmente, far fronte a delle conseguenze.

I padroni di casa, genitori della vittima, sono Jodie Foster, nei panni di Penelope, una donna particolarmente attenta all’educazione del figlio, impegnata socialmente, scrittrice di un libro sull’Africa e appassionata d’arte; e John Mc Reilly che interpreta Michael, venditore di sanitari, uomo pacato e bonaccione che prova un’evidente difficoltà nel non farsi sopraffare dalla moglie. Mentre tra la coppia di ospiti, genitori del carnefice, troviamo Kate Winslet, ossia Nancy, broker finanziario elegantissimo dentro la sua camicetta di seta e con la sua borsetta stracolma di trucchi; e Christoph Waltz, che nel film si chiama Alan, cinico avvocato e tutt’uno con il suo BlackBerry.

Il tutto comincia con una “dichiarazione dei fatti” scritta al computer dalla madre della vittima che, nonostante l’apparente calma e razionalità con cui le due coppie pare che affrontino lo spiacevole episodio, già dalla prima scena ci svela l’intento del regista. “Il bambino armato di bastone” è ciò che la donna si sente di scrivere in tale dichiarazione, facendo trapelare il suo punto di vista, mentre il padre del carnefice, Alan, si sente di suggerirle un termine più soft, che lei accetterà cortesemente di utilizzare. Si andrà avanti grazie a chiacchiere di circostanza, dei sorrisi, un caffè e della torta; una casa, due divani, quattro persone e la voglia di parlare dell’accaduto. Unici elementi della scena. 79 minuti nei quali il comportamento dei personaggi può essere considerato come un climax ascendente che li porterà alla loro vera essenza. Un po’ di scotch e le alleanze cambieranno in continuazione. Penelope non perderà occasione per porre l’accento sul danno che è stato fatto al suo bambino in maniera sempre più incisiva, fino ad accusare Alan di non occuparsi abbastanza di suo figlio e Michael di non difenderla abbastanza. Si comporterà da benpensante interessata all’educazione e ai temi sociali finché non perderà il controllo quando Nancy (Kate) vomiterà la torta di mele sul suo “Kokoscka”, (introvabile libro d’arte) e troverà il coraggio di urlare che “la vittima e il carnefice non sono la stessa cosa”. Alan, che trascorrerà, completamente disinteressato dall’accaduto, la maggior parte dei 79 minuti al cellulare per riuscire a vendere un farmaco probabilmente nocivo, dimostrerà tutto il suo più profondo cinismo sussurrando a Jodie Foster (Penelope) la frase “ Io credo nel Dio del massacro. Il Dio che regna incontrastato nella notte dei tempi”. Michael che apparentemente fino all’ultimo cercherà di portar pace, ad un certo punto si ritroverà ad urlare “io sono un irascibile testa di cazzo con un carattere di merda” e si sentirà rispondere da Alan che “lo siamo tutti”. Kate (peraltro la migliore interpretazione a mio parere), dopo aver vomitato, e dopo essersi ubriacata con dello scotch, urlerà di essere contenta che suo figlio abbia agito in quel modo e approfitterà della situazione per immergere il BlackBerry del marito in un vaso di fiori stracolmo d’acqua.

Da ciò si può dedurre la critica di Polanski alla borghesia, il bisogno di apparire ciò che non si è, di rispettare le regole sociali e, in questo caso, il bisogno di dimostrarsi razionali benpensanti educatori. Il fatto che tutti, chi più e chi meno, nella vita portiamo delle maschere che è difficile mantenere in certi contesti; più volte, infatti, i protagonisti diranno che quello è il peggior giorno della loro vita, il giorno in cui si ritrovano a nudo. Polanski fa notare l’attaccamento agli oggetti, il BlackBerry così come il Kokoschka. E che l’uomo non è altro che un animale sociale, egoista, che mira esclusivamente alla propria autodifesa. Ma non c’è niente oltre questo.

Peccato, infatti, che, per dire tutto ciò, il caro Polanski porti al cinema un’opera teatrale che, a parer mio, è fatta per rimanere tale. Il fatto che ci sottoponga a 79 minuti in cui quattro persone non fanno altro che girare all’interno di una casa, e darsi contro per un motivo alquanto futile rende il film noioso. Così come lo rende inverosimile il fatto che né la coppia padrona di casa decida, ad un certo punto, di mandare via gli ospiti, né che essi decidano spontaneamente di andarsene, ma rimangano a bere dello scotch a battibeccare e a parlare in intimità. In conclusione aggiungerei che il tema trattato, citato poco fa, è alquanto inflazionato, motivo per il quale, a mio avviso, il regista non ha trasmesso niente di nuovo al proprio pubblico.

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