Francesca Paci non mi ha mai entusiasmato, ha scritto libri
che ho letto quasi per dovere e perché, rispetto a tanti altri, ha una prosa
(povera, per la verità) che scorre via facilmente, favorendo un rapido
esaurimento della faccenda. Purtroppo scorrono via anche le idee e questo, per
una giornalista, è piuttosto grave. Insomma pubblica tanta mediocrità, però su
argomenti che non si possono ignorare, poiché si illude di essere un’esperta di
vicino e medio oriente, terre vicinissime cui guardiamo frequentemente con
angoscia, preoccupazione, rabbia, talvolta amore.
Perché allora segnalare un suo scritto, producendo una
recensione? Il tema è intrigante, ecco tutto, non tanto nel merito,
morti ammazzati nel nome di dio ce ne sono sempre stati e, ahimè, sempre ce ne
saranno finché continueremo a genufletterci di fronte ad un altare o un
surrogato, quanto nella riflessione che può suscitare se traguardato da un
punto di vista che forse l’autrice non ha valutato, o comunque non del tutto.
Diciamo subito una cosa: in sé è un libricino banale, una
raccolta di storie (le definirei storielle se non ci fosse di mezzo la vita di
coloro che sono stati uccisi per discriminazione religiosa) narrate con poca
fantasia e preteso piglio giornalistico, che lasciano in bocca l’amaro del ‘come sarebbe potuto essere se a scrivere
fosse stato uno scrittore’. Poiché non è un reportage né un saggio, ci
sarebbe voluto maggior mestiere per coinvolgere il lettore che, al contrario,
si annoia un poco e lascia correre le pagine, tra dati numerici che vorrebbero
assegnare al cristianesimo un’importanza che non ricopre più - essendo in via
di estinzione in molte parti del mondo - e considerazioni sociologiche ingenue,
come l’assegnare all’islam una componente fondamentalista (indubbia), senza
ricordare come anche il cristianesimo sia stato imposto con la stessa moneta,
tra minacce ed esecuzioni sommarie (Ipazia non l’hanno ammazzata i seguaci di
Maometto, o mi sbaglio?).
Tuttavia non vorrei dare l’impressione di sostenere come ai
cristiani ‘tutto sommato stia bene, così
scontano le nefandezze passate’, non lo penso ed anzi desidero sostenere l’esatto
contrario, vorrei semplicemente sottolineare una mancanza di fondo del lavoro
di Paci e precisamente una pessima contestualizzazione storica del fenomeno,
cosa che per un inviato come lei è grave. In poco: avrei preferito che avesse
impostato le attuali persecuzioni ai danni dei cristiani (oggettivamente presenti,
sia ben chiaro!) presentandole come endemiche del rapporto tra una religione
dominante e una società poco evoluta, incapace di concepire una separazione tra
culto e politica, soprattutto se confrontata con il percorso europeo in cui le
persecuzioni contro islamici ed ebrei non sono cessate perché il cristianesimo
si sia mostrato particolarmente tollerante, tutt’altro, quanto per
un’evoluzione illuminista della società, peraltro avversata proprio dalla
chiesa ed avvenuta, di fatto, contro di essa.
Veniamo a noi: cosa resta dell’oretta scarsa dedicata al
libro?
La consapevolezza che l’intolleranza non risparmia nessuno e
che la religione, qualunque religione, è un buon pretesto per marcare le
differenze individuando i muri divisori, soprattutto nei momenti in cui le
crisi sociali o economiche (che di norma vanno di pari passo) richiedano
necessariamente un capro espiatorio cui indirizzare la rabbia, secondo la buona
norma secondo la quale se le cose vanno male, bisogna cercare un responsabile nella
classe dei ‘diversi’ da prendere a botte, possibilmente distante dai
responsabili veri.
Insomma, chi da cristiano praticante e un poco orientato
all’intransigenza (penso ad esempio a coloro che si avvicinano a Comunione e
Liberazione o all’Opus Dei) può trovare nel libro materia di riflessione sul
tema: “Sì, è pur vero che a casa nostra diamo per scontata la libertà di culto
(soprattutto il nostro) ma vuoi vedere che per un maiale portato al pascolo
dove i musulmani vorrebbero una moschea (geniale trovata dell’ineffabile
Borghezio) c’è un contrappeso da qualche altra parte, per cui sarebbe assai più
ragionevole lasciar correre la religione e pensare a problemi più importanti?”.
In realtà ho scherzato: nessun simpatizzante di CL o dell’Opus
Dei potrà mai pensare che la religione non sia la base dell’esistenza umana,
nonché l’unico motivo per il quale esistiamo, ed infatti sono proprio gli altri
che dovrebbero riflettere, le donne ed uomini capaci di pensare un mondo senza
condizionamenti imposti da preti, suore, imam, bonzi, papi, popi, rabbini, maghi
e sciamani vari, siano essi vestiti di pelli e pestino contro un tamburo,
oppure di una tonaca ed agitino un turibolo.
Il libretto di Paci, insomma, forse senza volerlo – e carente di un’analisi storica
dignitosa – dimostra a
mio avviso un fatto inoppugnabile: che ciascuna religione può essere a un tempo
soggetto e oggetto di intolleranza, con l’ovvia conclusione che sarebbe meglio Immaginare la possibilità di vivere in
un mondo che ne fosse, per quanto possibile, privo (di religione), come sognava
quell’utopista ingenuo, chic e del tutto al di fuori della realtà che era John
Lennon.
Sì, è vero, ci sono cristiani che muoiono a causa del
desiderio di praticare la propria religione, com’è accaduto e accade ancora
adesso per ogni confessione religiosa: e se ne facessimo a meno?
… magari Paci non pensava a questo, quando ha scritto il
libro… mah! Il prossimo forse non lo leggo.
[F. Paci – Dove muoiono i cristiani – Mondadori 2011]
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