domenica 22 gennaio 2012

DOVE MUOIONO I CRISTIANI? UN PO’ OVUNQUE, COME TUTTI GLI ALTRI! di Gabriele Ainis


Francesca Paci non mi ha mai entusiasmato, ha scritto libri che ho letto quasi per dovere e perché, rispetto a tanti altri, ha una prosa (povera, per la verità) che scorre via facilmente, favorendo un rapido esaurimento della faccenda. Purtroppo scorrono via anche le idee e questo, per una giornalista, è piuttosto grave. Insomma pubblica tanta mediocrità, però su argomenti che non si possono ignorare, poiché si illude di essere un’esperta di vicino e medio oriente, terre vicinissime cui guardiamo frequentemente con angoscia, preoccupazione, rabbia, talvolta amore.

Perché allora segnalare un suo scritto, producendo una recensione? Il tema è intrigante, ecco tutto, non tanto nel merito, morti ammazzati nel nome di dio ce ne sono sempre stati e, ahimè, sempre ce ne saranno finché continueremo a genufletterci di fronte ad un altare o un surrogato, quanto nella riflessione che può suscitare se traguardato da un punto di vista che forse l’autrice non ha valutato, o comunque non del tutto.

Diciamo subito una cosa: in sé è un libricino banale, una raccolta di storie (le definirei storielle se non ci fosse di mezzo la vita di coloro che sono stati uccisi per discriminazione religiosa) narrate con poca fantasia e preteso piglio giornalistico, che lasciano in bocca l’amaro del ‘come sarebbe potuto essere se a scrivere fosse stato uno scrittore’. Poiché non è un reportage né un saggio, ci sarebbe voluto maggior mestiere per coinvolgere il lettore che, al contrario, si annoia un poco e lascia correre le pagine, tra dati numerici che vorrebbero assegnare al cristianesimo un’importanza che non ricopre più - essendo in via di estinzione in molte parti del mondo - e considerazioni sociologiche ingenue, come l’assegnare all’islam una componente fondamentalista (indubbia), senza ricordare come anche il cristianesimo sia stato imposto con la stessa moneta, tra minacce ed esecuzioni sommarie (Ipazia non l’hanno ammazzata i seguaci di Maometto, o mi sbaglio?).

Tuttavia non vorrei dare l’impressione di sostenere come ai cristiani ‘tutto sommato stia bene, così scontano le nefandezze passate’, non lo penso ed anzi desidero sostenere l’esatto contrario, vorrei semplicemente sottolineare una mancanza di fondo del lavoro di Paci e precisamente una pessima contestualizzazione storica del fenomeno, cosa che per un inviato come lei è grave. In poco: avrei preferito che avesse impostato le attuali persecuzioni ai danni dei cristiani (oggettivamente presenti, sia ben chiaro!) presentandole come endemiche del rapporto tra una religione dominante e una società poco evoluta, incapace di concepire una separazione tra culto e politica, soprattutto se confrontata con il percorso europeo in cui le persecuzioni contro islamici ed ebrei non sono cessate perché il cristianesimo si sia mostrato particolarmente tollerante, tutt’altro, quanto per un’evoluzione illuminista della società, peraltro avversata proprio dalla chiesa ed avvenuta, di fatto, contro di essa.

Veniamo a noi: cosa resta dell’oretta scarsa dedicata al libro?

La consapevolezza che l’intolleranza non risparmia nessuno e che la religione, qualunque religione, è un buon pretesto per marcare le differenze individuando i muri divisori, soprattutto nei momenti in cui le crisi sociali o economiche (che di norma vanno di pari passo) richiedano necessariamente un capro espiatorio cui indirizzare la rabbia, secondo la buona norma secondo la quale se le cose vanno male, bisogna cercare un responsabile nella classe dei ‘diversi’ da prendere a botte, possibilmente distante dai responsabili veri.

Insomma, chi da cristiano praticante e un poco orientato all’intransigenza (penso ad esempio a coloro che si avvicinano a Comunione e Liberazione o all’Opus Dei) può trovare nel libro materia di riflessione sul tema: “Sì, è pur vero che a casa nostra diamo per scontata la libertà di culto (soprattutto il nostro) ma vuoi vedere che per un maiale portato al pascolo dove i musulmani vorrebbero una moschea (geniale trovata dell’ineffabile Borghezio) c’è un contrappeso da qualche altra parte, per cui sarebbe assai più ragionevole lasciar correre la religione e pensare a problemi più importanti?”.

In realtà ho scherzato: nessun simpatizzante di CL o dell’Opus Dei potrà mai pensare che la religione non sia la base dell’esistenza umana, nonché l’unico motivo per il quale esistiamo, ed infatti sono proprio gli altri che dovrebbero riflettere, le donne ed uomini capaci di pensare un mondo senza condizionamenti imposti da preti, suore, imam, bonzi, papi, popi, rabbini, maghi e sciamani vari, siano essi vestiti di pelli e pestino contro un tamburo, oppure di una tonaca ed agitino un turibolo.

Il libretto di Paci, insomma, forse senza volerlo e carente di un’analisi storica dignitosa dimostra a mio avviso un fatto inoppugnabile: che ciascuna religione può essere a un tempo soggetto e oggetto di intolleranza, con l’ovvia conclusione che sarebbe meglio Immaginare la possibilità di vivere in un mondo che ne fosse, per quanto possibile, privo (di religione), come sognava quell’utopista ingenuo, chic e del tutto al di fuori della realtà che era John Lennon.

Sì, è vero, ci sono cristiani che muoiono a causa del desiderio di praticare la propria religione, com’è accaduto e accade ancora adesso per ogni confessione religiosa: e se ne facessimo a meno?

… magari Paci non pensava a questo, quando ha scritto il libro… mah! Il prossimo forse non lo leggo.

[F. Paci – Dove muoiono i cristiani – Mondadori 2011]

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