giovedì 7 giugno 2012

ENEL KILLER DEL CLIMA: LA BATTAGLIA DI GREENPEACE ITALIA



Una vicenda che, per ovvie ragioni, possiede scarsa risonanza nei media ufficiali, è sicuramente la campagna “Facciamo luce su Enel”. La società per azioni – principale azienda in Italia e seconda in Europa tra quelle fornitrici di energia elettrica – è finita infatti nel registro degli indagati di Greenpeace per le recenti dichiarazioni dell’amministratore delegato, Fulvio Conti, che vorrebbe portare la produzione di carbone dal 14% al 20% del totale dell’elettricità prodotta nel nostro Paese. Il R.i.c. (Reparto investigazioni climatiche) della nota organizzazione non governativa ha contestato la decisione di costruire altre due centrali a carbone nella zona di Brindisi, che andrebbero così ad unirsi alle 13 centrali a carbone (8 di proprietà dell’Enel stessa) operanti in Italia.

Come si apprende dal sito ufficiale della campagna, infatti, Enel risulta essere il primo utilizzatore di carbone come fonte di produzione termoelettrica in Italia. Su 37,3 milioni di tonnellate di CO2 emesse nel 2010, 26,2 provenivano dalle centrali Enel. Senza considerare inoltre che, «insieme a tutto il resto dell’industria del carbone, non sostiene i costi economici collegati a questi impatti, che ricadono sulle comunità locali e sulla società in genere. Questa assoluta irresponsabilità è l’unico modo per mantenere basso il prezzo di mercato del carbone. Se i costi di questi danni sanitari e ambientali venissero contabilizzati, il mercato si orienterebbe definitivamente verso le fonti rinnovabili come il solare o l’eolico».

Un problema, quello delle emissioni di gas, responsabile dell’effetto serra e del caos climatico, il quale – come fa notare l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change)1 – potrebbe comportare un incremento delle temperature sulla superficie terrestre tra i 1,8 ed i 4 gradi centigradi. Un gruppo internazionale di scienziati, presieduto dal premio Nobel Paul Crutzen2, sostiene infatti che «i cambiamenti causati dall’uomo nella composizione dell’atmosfera e nella qualità dell’aria causano a livello globale 2 milioni di morti premature ogni anno».

Cambiamenti climatici che interessano anche la nostra penisola. I dati parlano chiaro: i 10 anni più caldi in Italia dal 1800 a oggi sono successivi al 1990; di questi, 6 su 10 sono successivi al 2000. «All’aumento medio delle temperature si associano ondate di calore (triplicate negli ultimi 50 anni) e di gelo, con un forte aumento delle giornate di precipitazioni molto intense associate a una generale diminuzione delle precipitazioni nell’arco dell’anno». Secondo l’ultimo dato presentato dall’azienda stessa, nel 2011 la sua produzione da carbone in Italia è salita dal 34,1% al 41%. Le nuove rinnovabili sono salite, invece, da un misero 7,1% a un poco meno misero 7,8%.

Molto chiare anche le richieste, in questo senso, di Greenpeace: il ritiro di tutti i progetti di nuovi impianti a carbone; l’abbandono progressivo dell’uso del carbone, da completare entro il 2030; nuovi piani industriali che segnino un forte investimento sulle fonti rinnovabili.

Assieme a queste istanze, la O.n.g. ha inoltre portato avanti l’“operazione bollette sporche”, il cui intento è quello di far aprire gli occhi ai propri clienti sul vero prezzo delle bollette – compresi i costi della salute e dell’ambiente – recapitando a casa di 100 mila italiani le “vere bollette”. «Se dividiamo i danni economici causati dalla produzione a carbone di Enel per il numero delle famiglie italiane, scopriamo che gli sporchi profitti di Enel costano 75 euro l’anno a ogni famiglia. Molto più di quanto costano gli incentivi alle rinnovabili, che non uccidono il clima, non fanno ammalare le persone e, soprattutto, sostengono l’occupazione, la crescita e l’ambiente».

Una politica industriale quantomeno curiosa, quella della multinazionale dell’energia, la quale annovera tra i suoi principali azionisti di maggioranza proprio il Ministero del Tesoro italiano (30%), assicurando così un controllo pubblico da parte di un’azienda che privatizza i profitti e scarica sulla collettività i costi dei danni che provoca3. «Con le sue pubblicità, Enel fa di tutto per mostrarsi un’azienda che investe in energia pulita – sostengono gli attivisti – invece si tratta solo di greenwashing4: gran parte delle sue rinnovabili è un’eredità dei nostri nonni».

Immediata la risposta della S.p.a. che, dal sito facciamolucesuenel.com (questa volta .com e non .org), parla di tecnologia CCS (Carbon Capture and Storage)5 e sceglie artisti di eccezione come Tiziano Ferro per raccontarci la “favola del carbone pulito”. Come fa notare subito Greenpeace, però, questa nuova tecnica presenta dei limiti: innanzitutto non arriverà in tempo per arginare i cambiamenti climatici; è una tecnologia costosa e rischiosa sia in termini economici che in termini energetico-ambientali.

Pubblicheremo presto alcuni aggiornamenti. Intanto, la battaglia continua.


1 La più importante commissione di studio delle Nazioni Unite sul riscaldamento globale.
2 Paul Jozef Crutzen (Amsterdam, 3 dicembre 1933) è un chimico olandese, vincitore, insieme a Frank Sherwood Rowland e Mario Molina, del premio Nobel per la chimica nel 1995 per «gli studi sulla chimica dell'atmosfera, in particolare riguardo alla formazione e la decomposizione dell'ozono».
3 La centrale di Brindisi, ad esempio, causa annualmente danni ambientali, climatici e sanitari stimati tra i 536 e i 707 milioni di euro, intascando una cifra simile in profitti extra. In altre parole, i guadagni di Enel sono equivalenti ai danni che produce su ambiente e salute, ma che non contribuisce a risanare.
4 Greenwashing è un neologismo indicante l'ingiustificata appropriazione di virtù ambientaliste da parte di aziende, industrie, entità politiche o organizzazioni finalizzata alla creazione di un'immagine positiva di proprie attività (o prodotti) o di un'immagine mistificatoria per distogliere l'attenzione da proprie responsabilità nei confronti di impatti ambientali negativi (Fonte: Wikipedia).
5 Attraverso la quale si cattura l’anidride carbonica prodotta dalla combustione del carbone e la si immagazzina sotto terra, riducendo così l’impatto climatico.


Nel video, una semplice e divertente illustrazione animata di quelli che sono i limiti del "Cap & Trade".

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