martedì 12 giugno 2012

L'OSSESSIONE DELLA SINISTRA ITALIANA


Nelle ultime settimane – soprattutto dopo le amministrative che hanno visto l’ascesa di Grillo culminata con la nomina, a Parma, di un sindaco del Movimento 5 Stelle – la politica italiana vive una vera e propria ossessione. Sicuramente a Destra, in cui il tracollo elettorale di Lega e PdL cerca in qualche modo di essere attenuato dai propri rappresentanti, ma conduce inevitabilmente ad una riflessione interna ai partiti stessi. Ancor di più a Sinistra, in cui – si dice – il Partito Democratico continua a reggere, ma pare essere letteralmente terrorizzato dal successo del comico genovese. Così tutti, dentro e fuori al Parlamento, provano a dare una lettura di ciò che sta succedendo.


In modo piuttosto omogeneo, ed a reti unificate, si cerca di etichettare il fenomeno – sicuramente non nuovo, visto le passate discussioni riguardo “l’antipolitica” – come espressione di demagogia e populismo da parte di un “arringatore di folle”. Un fenomeno simile a quello della Lega Nord, nei toni più che nei contenuti, che al profumo della poltrona si è rivelato essere (con buona pace degli elettori) totalmente incoerente. Grillo dice quel che la gente vuole sentirsi dire, è vero. Lo può fare anche perché ha, ormai, i canali per farlo, ad iniziare dal suo blog (una delle piattaforme più visitate in Italia) fino ad arrivare ad un sistema di marketing così consolidato che gli consente di vendere libri, dvd, nonché di riempire i palazzetti di tutta la penisola. Nei suoi divertentissimi comizi non dice niente di nuovo, niente che non sia già stato detto da altri attori politici – si pensi alla politica energetica – o cavalca alcuni luoghi comuni sempre considerevoli come gli sprechi della politica, il finanziamento pubblico ai partiti e alle testate giornalistiche che servono solo a distrarre l’opinione pubblica da quelli che sono i reali problemi dell’Italia e a catturare l’applauso facile. Ha avuto il merito, almeno fino a prova contraria, di circondarsi e calamitare a sé dei giovani assolutamente preparati e puliti – si pensi a Federico Pizzarotti – che in un sistema così chiuso e gerontocratico riescono, quantomeno, a risaltare agli occhi. Grillo divide: piace o non piace; che si voglia o no, però, riesce ad intercettare buona parte di quella grossa fetta di aventi diritto disillusi che, da tempo, non si presentano alle urne, ed al contempo succhia voti da quell’emorragia di consensi che interessa buona parte della politica nazionale. Ci si interroga, dunque, su come arginare questa fuga di gradimento il prima possibile e nella misura più indolore. La tendenza, però, che ha la politica italiana di guardare il dito che indica la luna è dura a morire. Così, invece di investigare sulla propria immagine riflessa allo specchio, invece di riordinare le stanze di casa propria – con tanto di scheletri dentro armadi polverosi – la soluzione adottata è quella più breve e (per definizione) più semplice: minimizzare l’avvenimento.

Prima di arrivare al dunque, però, vorrei sgomberare il campo da qualsiasi incomprensione. Non credo che farsi delle illusioni sui grillini possa essere, dal punto di vista sociale più che dal punto di vista politico, in alcun modo costruttivo. Sicuramente si introduce, nella mia visione, un elemento di novità che – almeno per la pressione delle percentuali – possa comportare una riflessione da parte di quei partiti che in Parlamento ci avranno a che fare e che, volenti o nolenti, per certi versi dovranno adattarsi. Si respira un’aria diversa anche a livello locale, in cui l’innovazione può essere vissuta come stimolo per far riavvicinare i cittadini ai problemi del proprio territorio e cercare così delle risposte pragmatiche ed immediate. Come scrive un attento osservatore del sistema, però, «è illusorio cercare soluzioni locali a problemi globali». Così, anche sul cosiddetto Movimento 5 Stelle (nonostante si chiami “movimento” e non “partito”) incombono, ahimè, gli stessi limiti che qualsiasi attore politico – comprese organizzazioni, associazioni e gruppi di pressione nazional-statali – vive all’interno di un apparato democratico che si definisce formalmente globalizzato.

L’attenzione si concentra allora verso quelle forze realmente progressiste del paese che, portando un’opposizione fuori dall’aula di Montecitorio, hanno davanti a sé delle scelte e delle opportunità da sfruttare prima che il timer delle elezioni nel 2013 decretino la loro presenza nelle istituzioni o il loro decesso irreversibile. Mi riferisco, chiaramente, al partito di Sinistra Ecologia e Libertà e a Nichi Vendola. Il successo di Beppe Grillo e dei suoi giovani candidati non deve, in alcun modo, essere vissuto da questi ultimi come un’ossessione, ma – al contrario – deve essere un incentivo per interrogarsi sulla strada da seguire se si vuol provare ad essere la chiave del cambiamento. Non si può, quindi, come verrebbe da fare in modo istintivo, bollare le circostanze attuali come demagogia o populismo, accodandosi alla tendenza in voga, ma semmai cercare di capire cosa rappresenta il voto di Parma. Ebbene, la mia interpretazione è questa: vi è, a ragione, la percezione da parte degli elettori (o meglio, degli “aventi diritto”) di un sistema partitico in cui nessuno ha i margini per operare dei cambiamenti reali sulla quotidianità della gente. Questo vale per i tre partiti dell’Ave Maria (detto in modo ironico, ma non troppo) – Alfano, Bersani, Casini – che per restare in sella hanno appoggiato il cosiddetto “governo tecnico” (leggi: tecnocrazia europea) e dunque le regole imposte dal Capitale. Dettami che risultano essere, ancora una volta, diametralmente opposti a quelli che sono i bisogni della stragrande maggioranza degli italiani ma a cui nessuno riesce a dare un nome ed un ordine. Tanto più nel momento in cui è lo stesso “mercato” a fare da padrone nell’informazione della propaganda, in video e su carta. Questo però vale anche per Di Pietro e Vendola, la cui immagine viene ancora troppo associata ad un Partito Democratico che – in tutta irresponsabilità – ha deciso di abdicare ai suoi doveri di governo per dimostrarsi fedele alla linea politica liberista di Monti & Co., precludendo così ogni margine di dialogo ed intesa. È questo che porta, qualsiasi spettatore, ad abbracciare per contrapposizione le soluzioni offerte da personaggi carismatici, volgari e molto spesso irrispettosi (si pensi, ad esempio, l’effetto che il modus operandi di Bossi aveva sulle masse inferocite da Tangentopoli) che si affacciano di tanto intanto sulla scena politica del nostro paese.

Prendere una posizione, in questo intricato gioco di poteri e proposte, è sicuramente un’operazione suicida. Quel che non si deve fare, però, è sicuramente lasciarsi distrarre da quelle che sono le prime impressioni e smetterla di vivere la politica come uno scontro tra tifoserie, cercando piuttosto di addentrarsi nei fatti se si vuole optare per un percorso utile che consenta a tutti di capire quali sono le questioni poste dalla società civile. In questo senso, e per concludere, apprendo con ottimismo la presa di coscienza – sia da parte di Vendola che di Antonio Di Pietro – sulla necessità di dialogare in misura maggiore con gruppi, associazioni, organizzazioni e movimenti formati da centinaia di attivisti che quotidianamente si adoperano per mettere in discussione i valori dominanti e di conseguenza le radici del sistema di potere. Sempre che il fine ultimo sia quello e non, come troppo spesso accade, il posto caldo in poltrona.

4 commenti:

  1. Ne abbiamo parlato più volte :) però vorrei aggiungere un elemento ulteriore di cui non abbiamo mai discusso, ossia del fatto che Grillo utilizza comunque sistemi scorretti. Ora davvero non voglio fare paragoni con leader del passato, però questi vengono fuori da soli. Grillo sta entrando in politica ma senza rispettarne le regole, è come giocare a calcio con una squadra che usa le mani liberamente. Son pienamente d'accordo sul fatto che i partiti dovrebbero affrontarlo in maniera diversa, però se continua a rifiutare il dibattito con gli altri leader politici, è chiaro che diventa difficile mettere alla prova le sue proposte. Perché sentire le due campane in maniera isolata non potrà assolutamente far emergere nulla, è col contraddittorio diretto che si vede davvero la resistenza dei propri mezzi.
    Grillo dice che non vuole andare in TV perché è un mezzo obsoleto e bisogna spostarsi sulla rete, io mi chiedo invece se sia paura....ma se in TV non ci va non sapremmo mai la risposta.

    Per quanto riguarda la rincorsa al PD davvero non capisco cosa si vuol prendere da un partito che sostiene pienamente il governo Monti, inviterei a scendere in strada a sentire che ne pensa la gente invece di fare calcoli sui voti.

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  2. Caro Riccardo,
    è una riflessione interessante; potrebbe essere condivisibile. Tuttavia soffre dello stesso baco che ho segnalato per l’articolo di Pubusa su Democrazia Oggi: è poco utile.
    In una strip di grande successo della mia giovinezza, Mafalda diceva: «Al mondo ci sono troppi problemologi, sono i soluzionologi che mancano!».
    Sbagliava: chiunque si dedichi alla ricerca, sa bene che la difficoltà maggiore è quella di porre le domande corrette; date queste, le soluzioni arrivano.
    Per Grillo è lo stesso: tu (e tanti altri, con maggiore o minore fortuna e perizia, Pubusa incluso) vi domandate se Grillo abbia ragione o meno (ovvero se votarlo o no) mentre bisognerebbe domandarsi con molta forza (e fretta, soprattutto questa) come fare a metabolizzarlo. E non si tratta di diventare più grillini di lui, quanto di riconoscere che esprime alcune esigenze oggettive di cui la politica deve farsi carico, se non si vuole che i cittadini diano a Grillo un mandato per farlo o che, per evidente dissoluzione di un sistema di partiti che non riesce a fare politica decentemente (lasciamo correre per quali responsabilità) accada quasi per caso, com’è accaduto a Parma.
    Quindi, a te e a Pubusa: scegliamo le domande corrette e cerchiamo, di corsa, una qualche soluzione. In caso contrario potremmo ritrovarci in una situazione in cui – ancora - una soluzione “alla Monti” potrebbe essere appetibile per una grande maggioranza di cittadini e ciò sarebbe davvero un collasso democratico.
    Un caro saluto
    Gabriele Ainis

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  3. Credo che Riccardo nell'articolo intendesse proprio questo, almeno io ho interpretato cosi il suo messaggio e invito ai partiti a guardare ai propri fallimenti, il perché di questi fallimenti, farsi un' autoanalisi.

    Non si può negare infatti che dopo tutto se Grillo ha i consensi è perché i partiti non riescono più a dare quella credibilità di cui necessitano, per anni hanno chiuso gli occhi ai tanti segnali che venivano dati (si veda l'incredibile aumento delle astensioni) ed ora ne pagano le conseguenze. Non sono altro che vittime e carnefici di loro stessi.
    Mi trovo d'accordo con te su questo punto. Anche io lessi l'articolo di Pubusa e francamente da lui mi aspettavo un'analisi migliore, forse sono rimasto anche un pò deluso, anche secondo me non ha colto il cuore del problema.

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  4. Quando Grillo rifiuta il confronto televisivo dobbiamo ricordarci che lui è solo il megafono delle sue idee argomentate da altri.

    Mattia ha recepito il messaggio (più per via delle nostre discussioni che per la chiarezza del mio articolo): non è importante cosa pensa, se si è d'accordo o meno con lui, etc etc; quanto è importante, dal mio punto di vista, capire realmente cosa rappresenta la sua ascesa, senza cadere in semplificazioni. Questo se si vuole, come dice Gabriele, "metabolizzarlo" senza traumi.

    Le soluzioni. Nelle ultime righe ho provato ad abbozzare un'idea di quello che è il mio punto di vista. Viene più facile, se si vogliono evitare suicidi intellettuali, provare a capire piuttosto cosa NON fare. Sicuramente, condivido con Gabriele, non bisogna trasformarsi in grillini, anche per via del fatto che su alcune tematiche mi risulta davvero difficile capire cosa questi propongono. Ho lo stesso problema con Bersani. Piuttosto mi sembra utile, per le forze che si dicono progressiste nelle idee prima ancora che nelle parole, imparare dai propri errori e non commettere passi falsi, aprendo il dialogo innanzitutto con chi può ascoltare.

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