venerdì 15 giugno 2012

S.O.S. EUROPE: AMNESTY SI RIVOLGE ALLE ISTITUZIONI PER I DIRITTI DEI MIGRANTI


«Per l'Unione Europea, il rafforzamento delle frontiere è chiaramente prevalente sul salvataggio delle vite umane. Nel tentativo di stroncare la cosiddetta immigrazione irregolare, i paesi europei hanno rafforzato misure di controllo delle frontiere oltre i loro confini, senza riguardo per i costi umani».

Sono queste le parole con cui Nicolas Beger, direttore dell'Ufficio di Amnesty International presso le Istituzioni europee, ha presentato il report "SOS Europe". Il fascicolo – che fa parte di una campagna della nota O.n.g. in difesa dei diritti di migranti e dei richiedenti asilo rifugiati in Europa e lungo le sue frontiere – traccia un quadro drammatico di quello che è stato l’ultimo anno alle porte del Nord del mondo. Nel 2011, infatti, sono stati almeno 1500 gli uomini, le donne e i bambini che hanno perso la vita nel mare nostrum mentre cercavano di raggiungere le coste europee. In un contesto nel quale trasparenza e controlli sono scarsi, le violazioni dei diritti umani lungo le coste e le frontiere europee finiscono spesso per rimanere impunite. Per questo, Amnesty International «chiede ai governi e alle istituzioni dell'Unione Europea (Ue) di cessare di porre a rischio la vita dei migranti alle frontiere, ma semmai di svolgere fino in fondo il loro ruolo di controllo affinché i governi dei paesi membri siano chiamati a rispondere del trattamento riservato a migranti, richiedenti asilo e rifugiati». Flussi migratori che, notoriamente, hanno le loro radici in una serie di ragioni differenti: la persecuzione nei paesi d’origine, le guerre, la condizione di povertà, ecc..

Riassunto (del 50% del Report)

La relazione, scaricabile in inglese dal sito dell’organizzazione, si apre con una parte informativa rispetto a quelle che sono le differenze tra rifugiati, i richiedenti asilo, i migranti cosiddetti “regolari” e “irregolari”, nonché quelle che sono le peculiarità che ci permettono di distinguere una deportazione da una espulsione collettiva. Il documento viene poi articolato sulle condizioni che vivono queste categorie, ad iniziare dai maltrattamenti cui sono sottoposti nei Paesi di origine da parte della polizia locale per il loro “status illegale di migrante”. Abusi e violazioni dei diritti umani che riguardano, in particolar modo, i periodi di detenzione arbitraria e prolungata. Questa è considerata, da Amnesty International, diretta conseguenza della “esternalizzazione”, ossia di tutte quelle misure attuate al di fuori del territorio dello Stato di arrivo, esito dello spostamento delle responsabilità di controllo dall’Europa ai Paesi di transito o di partenza. Ed è proprio la politica di esternalizzazione praticata dagli Stati membri che viene giudicata, dai critici, come rischiosa per i migranti. Sia l’Italia che la Spagna, ad esempio, hanno tutt’oggi degli accordi in materia di “immigrazione e sicurezza” con l'Egitto, Gambia, Ghana, Marocco, Niger, Nigeria, Senegal, Tunisia, Capo Verde, Guinea, Guinea-Bissau, Mali e Mauritania. L’Unione Europea, per converso, si impegna invece nei confronti dei governi di questi paesi attraverso una varietà di meccanismi e strumenti finanziari.

Externalization refers to a range of border control measures including measures implemented outside of the territory of the state – either in the territory of another state or on the high seas. It also includes measures that shift responsibility for preventing irregular migration into Europe from European countries to countries of departure or transit.

Problema che ha interessato in passato anche i rapporti tra Italia e Libia, sui quali si concentra il lavoro svolto da Amnesty, quando – dal 2006 al 2010 – sono stati effettuati respingimenti, arresti e torture perpetuate ai danni di persone provenienti da Eritrea, Etiopia, Somalia e Sudan, così come dall'Iraq e dalla Palestina. In questo senso, il dialogo politico con la Libia – sospeso all’inizio dell’intervento nel 2011 – è ripreso senza troppi rancori con la fine delle ostilità. Le ricerche condotte da diversi gruppi in difesa dei diritti umani, infatti, hanno messo in luce come sono numerose le violazioni e gli abusi documentati sia durante la dominazione del colonnello al-Gheddafi che dopo la sua deposizione. Anzi, si può sostenere che, con il moltiplicarsi della presenza di armi in tutto il Paese e con il crollo della legge e dell’ordine, sono aumentati anche xenofobia e razzismo, il che ha peggiorato ulteriormente la condizione dei flussi migratori in tutta la regione. Così, mentre il conflitto armato infuriava ancora in Libia, l'Italia ha sottoscritto un memorandum d'intesa con il Consiglio Nazionale di Transizione in cui le due parti confermavano il loro impegno a cooperare nella zona anche attraverso “il rimpatrio degli immigrati in situazione irregolare”. Inoltre, la diffusa convinzione che Gheddafi avesse utilizzato dei “mercenari africani” (provenienti dall’area sub-sahariana) per reprimere le forze di opposizione, ha trasformato questi migranti in veri e propri bersagli di violenti attacchi contro la loro persona. Nonostante questa evidenza, l’Italia non ha sospeso i suoi accordi con le autorità libiche, resi molto spesso poco trasparenti e venuti alla luce soprattutto attraverso canali non ufficiali. La più recente collaborazione è datata infatti 3 aprile 2012, quando l'Italia ha firmato un altro accordo con la Libia per “ridurre il flusso di migranti”. Solo un comunicato stampa ha annunciato la concertazione, ma esso non comprende i dettagli sulle misure che sono state concordate.

[É possibile scaricare il testo completo cliccando qui.]

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