mercoledì 4 luglio 2012

ESIGERE LA VERITA' PER VITTORIO: AGGIORNAMENTO GIUGNO 2012

Nel corso di questi mesi ha finora provocato molta delusione e sconcerto, tra i famigliari e gli amici di Vittorio Arrigoni, il processo per il suo sequestro ed uccisione, avvenuti tra il 14 ed il 15 aprile 2011.

Il processo, iniziato ufficialmente nel tribunale militare di Gaza City l'8 settembre 2011, si è distinto per rinvii su rinvii delle udienze, testimoni dell'accusa o addirittura avvocati che non si presentavano al dibattimento, giudice della Corte "in vacanza", rinvii dovuti a motivi di sicurezza (pericolo di raid israeliani sulla Striscia di Gaza). Il tutto senza neanche avvertire chi presenziava al processo. Addirittura uno dei quattro imputati, Amr Abu-Ghoula, a piede libero perché accusato di un reato minore (favoreggiamento), nonostante avesse l'obbligo di essere presente a tutte le udienze, è riuscito a far perdere le proprie tracce fuggendo con molta probabilità in Egitto.

Sei le persone accusate del sequestro. Quattro gli imputati, tutti palestinesi poco più che ventenni: Mahmoud Salfiti, Tamer Hasasnah, Khader Jram ed Amer Abu-Ghoula. Gli altri due sequestratori, il giordano Rahman Breizat ed il palestinese Bilal al-Omari, rimasero uccisi nello scontro a fuoco con gli agenti delle forze governative di Hamas precedente l'arresto dei sequestratori. Secondo l'accusa, il presunto gruppo salafita, chiamato Attauhid Wal Jihad, avrebbe organizzato il sequestro con l'intenzione di sfruttare la notorietà di Vittorio, volendo chiedere uno scambio di prigionieri, in particolare la liberazione dello sceicco Abdel Walid al-Maqdisi, arrestato pochi mesi prima. Durante la retata scattata per liberare Vittorio, i sequestratori avrebbero deciso di ucciderlo per poi tentare di darsi più velocemente alla fuga.

Nel corso della seconda udienza del processo,tenutasi nel settebre 2011, due degli imputati avevano ritrattato le loro confessioni, affermando che erano state loro estorte "sotto forti pressioni" durante gli interrogatori seguiti all'arresto. Situazione che si è ripetuta nell'udienza di aprile: secondo la difesa, non sarebbe stata intenzione degli imputati uccidere Vittorio; non sarebbero stati a conoscenza dell'intenzione di ottenere uno scambio di prigionieri, non apparterrebbero ad alcun gruppo terroristico salafita essendo, anzi, affiliati a Hamas; sarebbero "solo" stati "sfruttati" dai due organizzatori del sequestro, Breizat e al-Omari, diventati perfetti capri espiatori non potendo più parlare. Da subito è apparsa chiara la strategia della difesa: addossare tutte le responsabilità del sequestro alle due persone rimaste uccise.

A dire degli imputati, loro unica intenzione nel rapire Vittorio sarebbe stata quella di "dargli una lezione", in quanto Vittorio, sempre a loro dire, avrebbe avuto uno stile di vita troppo occidentale ed un atteggiamento poco rispettoso, in particolare, nei confronti di alcune giovani studentesse palestinesi. Accuse vili ed infamamanti, rivolte proprio a Vittorio che conosceva bene ed aveva sempre rispettato usi e costumi palestinesi. Accuse ingrate, rivolte a chi aveva dedicato tutti gli ultimi anni della sua vita ad aiutare contadini e pescatori a difendersi dai cecchini israeliani ed a testimoniare giorno per giorno l'inferno che la popolazione di Gaza sta vivendo.

É importante ricordare che queste dichiarazioni degli imputati sono in netto contrasto con quelle rese da Mahmoud Salfiti durante l'udienza di febbraio: i sequestratori sarebbero stati tutti d'accordo sin dall'inizio sia di rapire Vittorio per ottenere uno scambio di prigionieri, sia di ucciderlo nel caso "qualcosa fosse andato storto".

Durante l'utima udienza in ordine di tempo, la sedicesima, tenutasi lo scorso 27 giugno, i legali della difesa hanno chiesto che i loro assistiti vengano prosciolti da ogni accusa per assenza di prove a loro carico. Hanno inoltre presentato istanza di scarcerazione per il mese sacro del Ramadan, quest'anno da fine luglio a fine agosto, periodo durante il quale anche il tribunale resterà chiuso. Il processo è stato aggiornato al prossimo 5 settembre, data in cui probabilmente anche l'accusa presenterà le sue richieste e, a quel punto, sarà attesa la sentenza.

Un processo, questo, nel cui dibattimento non sono mai stati affrontati in maniera approfondita i due punti oscuri della vicenda: i reali mandanti del sequestro - non è stata fatta alcuna indagine sulla misterosa figura del giordano Breizat, entrato a Gaza con un convoglio umanitario e poi uscito e rientrato attraverso i tunnel che dall'Egitto portano a Gaza, gestiti in maniera per niente chiara da Hamas - e soprattutto la motivazione per la quale la scelta del sequestro sia ricaduta proprio su Vittorio, amato dalla popolazione di Gaza come se fosse un abitante della Striscia. Aspetti che non sono mai stai dibattuti anche perché, secondo il codice penale di Gaza, in un processo di tipo militare non sono ammesse le parti terze e, dunque, non hanno potuto partecipare attivamente né l'avvocato italiano nominato dalla famiglia Arrigoni, Gilberto Pagani, né il Centro Palestinese per I Diritti Umani.

A tutto questo si aggiunge che, come ha affermato l'avvocato Gilberto Pagani durante un'intervista, il Governo italiano "non ha mosso un dito": ad un'interrogazione parlamentare presentata alla Camera dalla deputata del Pd Lucia Cordelli il 26 aprile 2012, il sottosegretario agli Affari Esteri Staffan De Mistura ha risposto che i funzionari della Farnesina non avrebbero alcuna possibilità di intervenire in via ufficiale al processo, in quanto il Governo italiano non intrattiene rapporti con le Autorità di fatto della Striscia di Gaza. Risposta inaccettabile, se si considera che riguarda il brutale assassinio di un cittadino italiano.

Tutto lascia supporre che alla fine del processo i tre imputati verranno condannati perché, come fa giustamente notare l'avvocato Pagani, difficilmente la Corte militare di Gaza smentirebbe le indagini delle forze di sicurezza. La pena prevista in questi casi è quella capitale, ma la legge palestinese prevede che, se è la famiglia della vittima a farne specifica richiesta, agli imputati venga applicata una pena alternativa. In una lettera inviata verso la fine del 2011 al premier palestinese Ismail Haniya e letta nel corso dell'udienza di febbraio, la madre e la sorella di Vittorio, la signora Egidia Beretta e sua figlia Alessandra Arrigoni, pur chiedendo chiarezza riguardo alle circostanze del delitto, hanno espresso netta contrarietà ad un'eventuale applicazione della pena di morte degli imputati, "sperando che il loro gesto possa aiutare a trovare la via della pace e della fratellanza, l'obiettivo per il quale Vittorio si è sempre battuto in tutta la sua vita".

Sicuramente sono state inesaustive e deludenti le risposte date finora dal processo a chi chiedeva la verità riguardo alla tragica morte di Vittorio. A questo processo va, tuttavia, riconosciuto un merito: l'aver fatto calare la maschera, una volta per tutte, alle autorità palestinesi ed italiane, svelandone il vero volto. Ed il modo di recepire il messaggio di Vittorio mostra anche il nostro, di volto: Vittorio era una persona libera da qualsiasi ipocrisia, una persona che con il suo impegno concreto ha richiamato ognuno di noi ad un'assunzione di responsabilità individuale, ad una scelta da effettuare quotidianamente e ad un sogno da tentare di realizzare concretamente giorno dopo giorno. Non necessariamente soltanto nella realtà difficilissima di Gaza, poiché, aprendo gli occhi, ci si rende conto che Gaza è ovunque e che, dunque, in qualsiasi luogo e sempre siamo chiamati ad impegnarci ed a lottare. Questa è l'eredità che Vittorio ha lasciato ad ognuno di noi. A noi la resposabilità di farla germogliare.

Fonti:
http://nena-news.globalist.it/
http://www.infopal.it/
http://www.ilgiorno.it/
http://www.agenparl.it/articoli/

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