sabato 1 settembre 2012

GIORNATA MONDIALE CONTRO LA GITANOFOBIA: TRA CULTURA E PERSECUZIONI


Oggi, primo settembre, è la giornata mondiale contro la gitanofobia. Per noi, una giornata come un’altra per ripercorrere la storia e le radici culturali di questo meraviglioso popolo colpito, ancora oggi, dal pregiudizio e dalla violenza.


Il termine “gitano” (in italiano “rom” o, volgarmente, “zingaro”) viene usato genericamente per indicare un insieme di diverse popolazioni romanè, originariamente ritenute nomadi, di origine indiana. È molto importante sottolineare come, della popolazione romanè, facciano parte anche i sinti (I sinti chiamano se stessi anche con il termine "manouche", "persona", stessa radice del tedesco "mensch") ed i kalè. A questi gruppi principali si ricollegano tanti gruppi e sottogruppi, affini e diversificati, ognuno con proprie peculiarità. In realtà, soprattutto per quel che riguarda i rom, essi vengono confusi in modo totalmente erroneo con i rumeni o con gli slavi a causa della cittadinanza di molti di loro. Non c'è però alcuna connessione - neppure etimologica - tra il nome “rom” e il nome dello Stato di Romania, il popolo di lingua neolatina dei rumeni o la lingua rumena, né teoricamente con le popolazioni slave.


La maggior parte degli studiosi ritiene che il luogo d'origine del popolo rom sarebbe una regione situata tra l’India ed il Pakistan attuali, da dove verso l'anno mille iniziarono l'esodo fuggendo da devastanti invasioni. Non è tuttavia chiaro se la regione indiana sia stata il luogo di origine primitivo della cultura rom e non piuttosto una tappa intermedia di una migrazione più complessa, dal momento che tale cultura risulta radicalmente diversa da quelle dell'area indiana. La difficoltà a ricostruire la storia dei rom deriva dal fatto che i documenti a disposizione sono pochi ed incompleti, essendo loro un popolo senza scrittura che affida alla “memoria” e alla comunicazione orale il compito di trasmettere la propria storia e la propria cultura. Quale che sia il loro passato più lontano e più recente, di queste popolazioni si può ricordare sicuramente la capacità di resistenza alle persecuzioni subite: dalla schiavitù in Romania (abolita solamente dopo il 1850) fino ai campi di concentramento nazisti che vengono ricordati con il termine Porrajmos (“devastazione”).

I gitani normalmente adottano la religione praticata dalle nazioni fra cui vivono, per questo sono per la stragrande maggioranza cristiani (soprattutto cattolici) mentre - in alcune zone della Bosnia, della Macedonia, del Kosovo e dei paesi islamici dove sono raramente presenti - vi sono anche piccole minoranze di musulmani.

La lingua parlata è il romanì, affine al sanscrito e alle lingue moderne dell'India.

La struttura sociale, rimasta nei secoli pressoché immutata, si regge fondamentalmente sulla famiglia patriarcale, intesa come gruppo che si riconosce nella discendenza da un antenato comune ed in cui il vecchio - considerato saggio - ne è rappresentante riconosciuto. L’individuo da solo infatti non ha alcun senso, ma esiste ed è accettato in quanto ha un ruolo ed appartiene ad un nucleo familiare. Che sia marito, o moglie o figlio è dunque una condizione indispensabile. I figli sono di solito numerosi, contrariamente a quanto accade nella nostra società, anche perché nell’economia tradizionale di alcuni gruppi essi rappresentano una preziosa fonte di sostentamento. Oltre al ristretto nucleo familiare, è importantissima la cosiddetta famiglia estesa, che comprende i numerosi parenti. Al di là della famiglia estesa esiste poi la kumpània, che rappresenta l’insieme di diverse famiglie non unite da vincoli di parentela, ma comunque tutte legate tra di loro in quanto facenti parte dello stesso sottogruppo. Non esistono classi o gerarchie sociali, in base ad un principio di eguaglianza che riflette un’ottica di vita di tipo orizzontale.

La popolazione gitana in Italia rappresenta lo 0,16% circa dell’intera popolazione italiana, essendo stimati in un numero di persone compreso fra le 80.000 e le 110.000 unità. Sono presenti solo sinti e rom con i loro sottogruppi. I sinti sono soprattutto insediati nel nord dell’Italia, mentre i rom risiedono principalmente nell’Italia centro-meridionale. Circa l’80% degli zingari che vivono nel nostro paese ha la cittadinanza italiana, il 20% circa è rappresentato da persone provenienti soprattutto dai territori della ex-Jugoslavia e, con la fine del socialismo reale, dai paesi dell'Europa orientale.

Ed è proprio in Italia che si sono verificati episodi di razzismo nei loro confronti, basti ricordare il pogrom di Ponticelli, a Napoli, nel 2008, dove Angelica Varga - una ragazzina rumena di neanche 16 anni, di etnia rom, arrivata da poco in Italia - viene accusata del tentato rapimento di una bambina italiana. Presa e condannata a tre anni e otto mesi di carcere, senza prove o testimoni (solo la testimonianza della mamma della bambina, ritenuta dagli inquirenti pienamente credibile, nonostante le contraddizioni e la non verosimiglianza del suo racconto documentate dalla difesa), chi la giudica scrive addirittura che Angelica è “incline a compiere delitti analoghi" in quanto "zingara"”. Dopo l'arresto di Angelica si scatena la "rabbia popolare". 800 rom devono scappare, abbandonando nel giro di poche ore le loro abitazioni che vengono date alle fiamme dai cittadini aizzati da elementi della malavita locale e da improvvisati giustizieri che si fanno sempre vivi in circostanze come queste. Angelica si dichiara disperatamente innocente, il che aggrava ulteriormente la sua posizione. Infatti gli "sconti" di pena vengono concessi solo se l'imputato ammette di essere colpevole. Questa è la ragione per cui molti immigrati di fronte ad una condanna ritenuta inevitabile si dichiarano colpevoli, alimentando così le statistiche.

Non solo. É di pochi mesi fa l’attacco all’insediamento romanò della Continassa, a Torino, dove si è scatenata una vera e propria caccia all’uomo culminata nell’incendio del campo e nella fuga dei rom terrorizzati. O a Cagliari, dove il più importante quotidiano sardo ha infiammato l’opinione pubblica facendole credere che ai rom sarebbe stata data una “villa con piscina ed idromassaggio”, salvo poi scoprire che quest’ultima altro non era che un casolare diroccato con condizioni sanitarie precarie e senza i servizi igienici primari. Dopo diversi insulti e minacce da parte dei cagliaritani, le famiglie rom hanno deciso – preoccupate per i propri figli – di restituire le chiavi della abitazione e cercare un alloggio alternativo. 

Nonostante i tentativi di inversione di rotta, sono tanti i comuni che perseverano ancora nella pratica vergognosa degli sgomberi degli insediamenti spontanei, spesso senza assicurare una soluzione alternativa che possa essere funzionale alle parti in causa.

Altre volte, queste soluzioni di comodo vengono ricercate all’interno di “campi” che, come ci ricorda Arturo Gianluca di Giovine, si fondano su una detenzione preventiva atta a creare lo spazio legale per le azioni di repressione. Una persona è rinchiusa in un campo non per quello che fa, ma per quello che è. «Il campo non è solamente l’esperimento della nullificazione dell’umano, ma è anche lo spazio che sancisce un ordine, una configurazione ideale della società, una rifondazione del sociale da ottenere dentro e fuori dal campo. La strutturazione del fenomeno campo rimanda al tipo di società che si vuole costruire al suo esterno, è icona della società perfetta, nella quale una parte di popolazione è da annientare».

Processi di esclusione che sono alimentati e alimentano i processi di auto-esclusione, un circolo vizioso difficile da spezzare che comporta atteggiamenti devianti come la micro-criminalità (per sopravvivere) e altri elementi negativi da debellare.

Leggendo i dati che riporta Roberto Malini nel suo prezioso contributo “I rom in carcere: dati di una persecuzione”, emerge un’altra realtà su cui riflettere: l'atteggiamento poliziesco e giudiziario verso i rom indica un evidente pregiudizio. Circa 3 mila detenuti maschi, nel nostro paese, sono rom. Si tratta del 5% dell'intera popolazione carceraria, quando i rom sono lo 0,1 per cento della popolazione italiana. L'antropologia moderna ci insegna che non esiste un popolo con attitudine a delinquere, ma solo cause sociali imputabili agli Stati e alle culture dominanti che sono all'origine dell'incremento statistico dei reati presso un'etnia rispetto a un'altra.

Fonti:
“Pregiudizio e orgoglio rom”, di Marco Brazzoduro. Il Manifesto.
“Storie di ordinaria follia II (uscire dalla logica del campo)”, di Arturo Gianluca Di Giovine.
“I rom in carcere: dati di una persecuzione”, di Roberto Malini.



1 commento:

  1. Questo articolo mi è piaciuto davvero tanto. E' molto bella la prima parte in cui si riassume brevemente la storia di questi popoli e se ne descrive la loro cultura davvero affascinante e ricca di sani valori che noi ormai andiamo a perdere. Ad esempio la famiglia riferita non solo a genitori e figli, cosa da noi sempre più in crisi, ma anche al concetto esteso che comprende tutti i parenti, che qui ormai è solo un ricordo in gran parte dei casi.
    Dopo questo bel quadretto però ci riporta alla triste realtà attuale dove regna una dura lotta contro queste povere persone abitanti come noi di una terra emersa su questo pianeta.

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