Continua a far discutere lo sgombero forzato "per motivi
igienico sanitari" del campo nomadi a Tor De Cenci (Roma),
deciso dal sindaco Gianni Alemanno il 31 luglio scorso e confermato
dalla sentenza del Tar che ha dichiarato legittima la decisione del
Comune.
Per capire di cosa stiamo parlando, però, è necessario ripercorrere
la storia del "campo" di Tor De Cenci, definito "storico"
proprio perché realizzato molti anni fa dal Comune con i soldi
pubblici. Attrezzato regolarmente con container e servizi, negli
ultimi due anni l’amministrazione capitolina ha smesso di fornire
sorveglianza ed i sanitari minimali previsti, trasformando il campo
in una vera e propria baraccopoli.
Da qui la decisione di dichiararlo "campo tollerato" e
passare allo sgombero. Ben 140 persone, soprattutto ragazzini, sono
stati portati all'ex Fiera di Roma perché, come accade in questi
casi, la nuova sistemazione non poteva essere pronta in tempi così
ristretti. Sono così state allestite alcune brandine, affittati una
decina bagni chimici e sette docce, istituito un servizio di
guardiania e di controllo. Vengono inoltre distributi dei pasti
precotti tre volte al giorno e il posto è presidiato da un mezzo
della Croce Rossa. Era così urgente sgomberare un campo aperto da
vent'anni? Non si poteva aspettare l'ultimazione dei lavori
dell'insediamento di Castel Romano? Sono queste le domande che si
pongono i residenti e gli attivisti intorno a loro. L'intenzione
iniziale era quella di trasferire la popolazione del campo a quello
de La Barbuta o di Castel Romano, che soffrono già di
sovraffollamento per la presenza di più di 1600 persone, ma così
non è stato fatto.
Tanto
che, circa 50 di loro, donne e uomini maggiorenni, hanno
iniziato lo sciopero della fame per protestare contro le promesse non
mantenute dell'amministrazione comunale.
«Ho dormito fuori perché dentro non si respira e io sono
cardiopatico - ha raccontato un ragazzo rom - mia madre pure sta
male, ha un tumore polmonare e non può magiare panini tutti i
giorni. Noi non vogliamo che i nostri figli finiscano come noi». «É
una vergogna - grida un altro - non ci serve la polizia, noi ci
andiamo da soli all'altro campo ma perché metterci qua adesso? Qui
non si rispettano i diritti umani. Qui è un inferno. É un posto
migliore di Tor de' Cenci?».
Il trasferimento alla Fiera di Roma, inoltre, sta comportando grossi
problemi per la partecipazione scolastica dei bambini rom: i mezzi di
trasporto restano ancora legati alle vecchie tratte e nessuno ha
pensato di risolvere questa situazione. Come scrive Mario Marazziti,
dalle pagine del Corriere, «Si butta via l’integrazione
scolastica, si distrugge con i container anche una parte del futuro.
Aumenterà il tasso di abbandono scolastico, e quando non accadrà
sarà per uno sforzo quasi eroico: perché due ore in più solo per
andare a scuola alle elementari? Perché ad anno scolastico iniziato?
Perché i bambini rom dovrebbero faticare molto più dei bambini
nelle cui case si parla già bene l’italiano? Queste cose
intelligenti sono chiamate "politiche sociali"». Paolo
Perrini, di Arci Solidarietà ed anche lui in sciopero della fame,
spiega: «In pochi vengono a scuola, non riescono a lavarsi tutti e
c'è un'epidemia di pidocchi. Non abbiamo pettinini né il prodotto
per eliminarli. I rom sono molto sfiduciati e depressi, ci chiedono
in continuazione psicofarmaci».
«É a rischio la salute di queste persone, tra le quali ci sono dei
bambini piccolissimi - dice Silvia Ioli, segretaria della Cgil di
Roma e del Lazio - Ancora una volta le modalità utilizzate
nell'esecuzione del piano nomadi del Comune di Roma sono
inaccettabili. Il lavoro degli adulti e la scolarizzazione dei
bambini rom vengono di nuovo compromessi con l'ennesima di una lunga
serie di soluzioni improvvisate che costituiscono solo uno spreco di
risorse che potrebbero risultare preziose se impegnate in un vero
piano di integrazione di queste comunità nel territorio».
L'operazione, oltre a costituire uno sperpero di soldi pubblici,
rischia di minare i processi di integrazione - ad iniziare da quella
scolastica, appunto - messi in atto fino ad oggi. Della stessa idea
sono anche la Caritas e la Comunità di Sant’Egidio che dicono:
«Una vergogna, indegna di una città civile». Monsignor Feroci,
della Caritas diocesana, all'arrivo (non annunciato) dei vigili e
delle ruspe a Tor de Cenci per buttare giù il campo, davanti ad
adulti e bambini, si è messo a gridare per la follia di questa
decisione.
Intanto
continua la campagna “Stop all'apartheid
dei Rom!” lanciata dall'Associazione 21 Luglio.
Un appello con raccolta firme rivolto “agli amministratori
nazionali e locali che guideranno il nostro Paese e le nostre città
dopo le prossime elezioni” ed ai quali viene chiesta “l'attuazione
di nuove politiche per il superamento definitivo dei 'mega campi
monoetnici', caratterizzati dalla discriminazione e dalla
segregazione”. La necessità dunque, di “rappresentare uno spazio
di resistenza pacifica alle continue violazioni dei diritti umani”
attraverso una serie di azioni dirette a
“condannare e denunciare le politiche praticate in diverse città
italiane e segnate dalla discriminazione istituzionale, per
individuare e proporre le alternative migliori e per sostenere
quanti, anche in campagna elettorale, avranno la forza e il coraggio
di parlare di politiche nuove, che prevedano la restituzione di una
cittadinanza effettiva a ogni rom”. Qualora poi si debba procedere
a uno sgombero forzato, l'Associazione chiede almeno che vengano
adottate delle misure protettive, vale a dire “la possibilità di
una reale consultazione con gli interessati; un preavviso sufficiente
e ragionevole a tutte le persone interessate; le informazioni sullo
sgombero e, se del caso, la riassegnazione di terreni o abitazioni,
entro un termine ragionevole a tutti gli interessati; la presenza
durante uno sgombero, specialmente quando sono coinvolti gruppi di
persone, di agenti o rappresentanti di governo e di Ong; gli sgomberi
non devono esser eseguiti in condizioni meteorologiche avverse, a
meno che l'interessato non presti il proprio consenso; l'accesso ai
rimedi previsti dalla legge; la fornitura di assistenza legale a chi
ha bisogno di appellarsi di fronte alle autorità giudiziarie,
evitando in ogni caso che, dopo uno sgombero, una persona si trovi
senza alloggio adeguato o possa essere vittima della violazione di
altri diritti umani”. Secondo l'Associazione 21 Luglio “non si
può rispondere alla povertà e all'emarginazione sociale con una
politica fondata su sgomberi e trasferimenti forzati. In ogni
politica sociale il rispetto dei diritti umani è una prerogativa che
non può essere accantonata in nome di un illusorio e inefficace
"repulisti", indegno per una società civile e
democratica”. Tra gli aderenti personalità del mondo della cultura
come Dario Fo, Franca Rame, Ascanio Celestini, Erri de Luca, Moni
Ovadia, Margherita Hack, Susanna Tamaro, Assalti Frontali, Alex
Zanotelli e i tre maggiori esperti di tematiche relative ai rom:
Piero Colacicchi, Leonardo Piasere e Nando Sigona. Oltre a 70
associazioni, che contano circa 65mila soci.
Dopo
un attento monitoraggio durato tre anni, la stessa Associazione 21
Luglio ha redatto un completo report nel quale si dipingono quelli
che sono i costi e le modalità degli sgomberi previsti dal “Piano
Nomadi” nella Capitale: 450 sgomberi, 6.750.000 euro spesi (la
cifra riportata racchiude le spese per la rimozione dei rifiuti, per
l'impiego delle forze dell'ordine, per l'utilizzo delle unità mobili
di strada), 480 famiglie coinvolte. Un bilancio poco confortante se
si pensa che tra gli sgomberi e i trasferimenti forzati il
Campidoglio ha impiegato dieci volte più di quanto investito
nell'inclusione lavorativa di soggetti rom svantaggiati nel medesimo
periodo preso in esame.
L'Associazione,
in particolare, si rifà al comunicato emesso dal Commissario per i
Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, a seguito
della sua visita a Roma dal 3 al 6 luglio 2012, nel quale riteneva
«che tali interventi [sgomberi forzati con trasferimenti a La
Barbuta] non si possano certo conciliare con la nuova ottica imposta
dalla Strategia nazionale d’inclusione dei rom, che è già in
vigore in Italia. Piuttosto, si evince una sfortunata continuità
della precedente politica ufficiale di stampo emergenziale. […]
Quella politica aveva alimentato una serie di sgomberi forzati
sistematici senza precedenti, spesso anche a catena, senza alcun
riguardo per le circostanze personali dei soggetti interessati, né
per le garanzie procedurali. Il Commissario - si legge nel rapporto -
crede fermamente che sia i campi segregati per le popolazioni di rom
e sinti che gli sgomberi forzati in Italia siano da relegare
definitivamente al passato».
Al
coro si è aggiunta anche Amnesty International che ha posto
l'accento sul fatto che, sebbene l'insediamento esista dal 1995 e sia
stato dotato di servizi dal Comune, «negli
ultimi due anni le autorità hanno cominciato a riferirsi a Tor de'
Cenci come a un campo “tollerato” (ovvero un campo che esiste da
lungo tempo, ma costruito irregolarmente su un terreno pubblico o
privato), minacciando di chiuderlo e di trasferire i residenti in un
altro campo ancora più lontano dal centro abitato. Nel tempo -
denuncia l'organizzazione - le condizioni di vita all'interno di Tor
de' Cenci sono progressivamente peggiorate, poiché il campo è stato
di fatto lasciato a se stesso dalle autorità in vista della sua
pianificata chiusura. Le autorità vogliono invece usare La Barbuta
esclusivamente per trasferirvi rom che vivono ora in altri campi di
Roma. Se così sarà, si tratterà di un altro esempio di edilizia
basata sulla segregazione etnica vietata dal diritto internazionale e
incoerente con l'impegno a favorire la fine della segregazione
assunto nel febbraio 2012 dall'Italia di fronte alla Commissione
Europea con la presentazione della “strategia nazionale
d'inclusione delle comunità rom, sinti e camminanti”».
Fonti:
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