giovedì 8 marzo 2012

IL TAV IN SALSA CAMPIDANESA di Gabriele Ainis


Sapete che c’è? C’è una novità: la Val di Susa resiste alla tentazione di farsi comprare. C’è Cota che cerca di spiegare che sono stati sbloccati venti milioni di euro per le “compensazioni” e i valsusini (che sembra il nome di una frutta esotica) lo mandano serenamente a quel paese.

Che sia proprio Cota a provarci dovrebbe far riflettere: possibile che l’avatar di Bossi in Piemonte sia filogovernativo per la questione TAV in un momento in cui la Lega ha tutto l’interesse a smarcarsi dall’esecutivo? Sì: è possibile perché il TAV (e non “la” TAV, visto che “T” sta per “treno”) è un business dove tutti quanti intingono il biscotto, dalla lega al PD passando per il PDL, il Terzo Polo e la quarta età: soldi per tutti, guys, una montagna di soldi che non abbiamo adesso né avremo in futuro ma dovremo cacciar fuori lo stesso, ci piaccia o meno senza neppure la soddisfazione di vincere qualche medaglia d’oro sfruttando le combine che favoriscono il paese ospitante. Monti ha respinto (giustamente) il progetto di organizzare le Olimpiadi, ma Il TAV non si tocca! Si perfora senza podio e senza medaglie, neppure per chi arriva primo: un vero schifo!


A noi, in Sardegna, non riguarda, ma giusto perché non c’è la possibilità di arraffare un po’ di soldi: se ci avessero proposto di far passere il TAV da Pompu per andare da Torino a Lione, avremmo detto subito: «Certo, quanti posti di lavoro? E per mia cognata? Mio cugino? Il fratello della mia amante? Si? Allora lo facciamo; però che ci sia la birra Ichnusa, mi raccomando, altrimenti nulla!»

Esagero?

No, non solo non esagero ma spero che nessuno riporti a Cappellacci queste poche righe che scrivo, perché sarebbe capacissimo di volare immediatamente a Roma per proporlo, non senza una dozzina abbondante di lunghe interviste tra Videolina e l’Unione Sarda.

Me lo vedo, con l’occhio sveglio che lo contraddistingue, annunciare il progetto epocale che porterà lavoro e benessere all’Isola realizzando una galleria di una settantina di chilometri sotto il Gennargentu, trovando il modo di smontare e rimontare una cinquantina di nuraghi e di dare congrui contributi alle cooperative che dovranno sorvegliare i conci di basalto smontati durante l’esecuzione delle opere perché nessuno se li rubi.

I sindaci? Farebbero a gara per essere coinvolti nel progetto: «Passate da noi!» urla uno; «No, passate da noi!» risponde l’altro e giù botte da orbi, testate, bombe, fucilate e tutto il repertorio sardo che chiamiamo normalmente discussione serena e democratica, i metodi millenari che ci caratterizzano come persone accomodanti e disposte alla serena mediazione.

A chi mi accusa di essere antisardo, suggerisco un’occhiata al passato prossimo, alle opportunità gettate via quando si potevano far debiti in allegria confidando nella parolina magica che ultimamente ha perso smalto: crescita. La Sardegna ha visto arrivare un generoso torrente di denaro destinato, sulla carta, allo sviluppo di infrastrutture moderne e industria, ma noi l’abbiamo interpretato più o meno così: costruiamo un sacco di robaccia inutile e affidiamoci al mattone, poi si vedrà, tanto i soldi, come sono arrivati ieri, arriveranno anche domani.

Come leggere diversamente lo stato miserando delle infrastrutture e dell’industria? Ce ne siamo impipati tutti, ecco com’è andata, perché tra un proclama e l’altro è comodo vivere con una pensioncina di invalidità e l’impiego comunale, provinciale, regionale, statale o apparentemente privato, ottenuti, spesso e volentieri, con la compravendita del voto.

Paesaggio? Ma non diciamo sciocchezze: abbiamo fatto del nostro meglio per distruggerlo, lottizzando selvaggiamente le coste per agevolare il meccanismo perverso di investimento nel mattone, un buco nero che ha inghiottito il risparmio senza generare il minimo sviluppo. Tanto ce ne freghiamo che, in occasione della querelle Tuvixeddu, non c’è stato un solo intellettuale, giornalista, politico che abbia provato a domandarsi se non ci sia in atto un sistema viziato che immobilizza la ricchezza dentro il cemento armato, e se non sia questo a causare l’inutile cementificazione dell’Isola (e di Cagliari in particolare).

Ambiente? Ma non ci ricordiamo il caso ALSAR (prima che cambiasse nome una mezza dozzina di volte diventando finalmente ALCOA)? Quanti accettarono serenamente gli «indennizzi» per le emissioni dello stabilimento? Tutti gli interessati, senza eccezioni, tutti contenti di guadagnare senza fatica svendendo il territorio affinché si inquinasse tranquillamente in cambio della possibilità di passare le giornate al bar a svolgere l’attività che preferiamo e per la quale andiamo famosi: bere birra Ichnusa!

Futuro? Se va bene, manovali, perché le scuole sono una fetecchia e comunque, se non si è figli di una professione, non c’è modo di potervi accedere: stiamo ricreando le corporazioni medievali e le dinastie.

Qualcuno si è mai lamentato?

In definitiva ci siamo venduti per mezzo secolo, contentissimi di farlo perché è comodo vivere sapendo che alla fine del mese arriverà il piatto di lenticchie, poche e monotone, ma sicure.

Abbiamo allevato la nostra classe dirigente in funzione di questo: del posticino, dell’accozzino, delfavorino, del contributino, tutti felici di votare per l’amico più capace di essere il furbetto che sa costruirsi la propria personale corte dei miracoli.

Non so cosa accadrà al movimento NO-TAV, le utopie hanno vita breve, né credo che una valle alpina possa davvero opporsi agli interessi in gioco dietro questo enorme affare. Dentro c’è tutto: la politica, le professioni, le grandi aziende di costruzioni (Cooperative incluse) le banche, la mafia in tutte le sue articolazioni: che ne possono poche decine di migliaia di persone che esprimono il proprio dissenso con così tante e tali ragioni?

Eppure sono certo che da questa vicenda sia possibile imparare una lezione: che a volte ha senso scegliere la strada apparentemente più difficile e irrazionale. Sarebbe così semplice, da parte loro, abbandonarsi all’inevitabile (che pure è chiaro) cercando di lucrare il massimo ottenibile: soldi, opportunità, vantaggi. Normalmente si chiama pragmatismo e lo si pratica correntemente per giustificare le peggiori nefandezze.

Per ora, nella Val di Susa è prevalso qualcos’altro e forse è accaduto perché i valsusini si sono riconosciuti, prima di ogni altra cosa, una comunità, categoria in disuso, oggi, e successivamente si sono dichiarati indisponibili alla compravendita di sé stessi.

E noi, sardi coraggiosi e balentes, saremo mai capaci di piantarla di vendere le chiappe per due soldi pensando ad un TAV in salsa campidanesa?


[Il link originale dell'articolo: http://exxworks.wordpress.com/2012/03/06/il-tav-in-salsa-campidanesa/]

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