Sapete che c’è? C’è una novità: la Val di
Susa resiste alla tentazione di farsi comprare. C’è Cota che cerca di spiegare
che sono stati sbloccati venti milioni di euro per le “compensazioni” e i
valsusini (che sembra il nome di una frutta esotica) lo mandano serenamente a
quel paese.
Che sia proprio Cota a provarci dovrebbe
far riflettere: possibile che l’avatar di Bossi in Piemonte sia filogovernativo
per la questione TAV in un momento in cui la Lega ha tutto l’interesse a
smarcarsi dall’esecutivo? Sì: è possibile perché il TAV (e non “la” TAV, visto che “T” sta
per “treno”) è un business dove tutti quanti intingono il biscotto, dalla lega
al PD passando per il PDL, il Terzo Polo e la quarta età: soldi per tutti, guys, una montagna di soldi che non abbiamo adesso né avremo in futuro
ma dovremo cacciar fuori lo stesso, ci piaccia o meno senza neppure la
soddisfazione di vincere qualche medaglia d’oro sfruttando le combine che
favoriscono il paese ospitante. Monti ha respinto (giustamente) il progetto di
organizzare le Olimpiadi, ma Il TAV non si tocca! Si perfora senza podio e
senza medaglie, neppure per chi arriva primo: un vero schifo!
A noi, in Sardegna, non riguarda, ma
giusto perché non c’è la possibilità di arraffare un po’ di soldi: se ci
avessero proposto di far passere il TAV da Pompu per andare da Torino a Lione,
avremmo detto subito: «Certo, quanti posti di lavoro? E per mia cognata? Mio cugino? Il
fratello della mia amante? Si? Allora lo facciamo; però che ci sia la birra
Ichnusa, mi raccomando, altrimenti nulla!»
Esagero?
No, non solo non esagero ma spero che
nessuno riporti a Cappellacci queste poche righe che scrivo, perché sarebbe
capacissimo di volare immediatamente a Roma per proporlo, non senza una dozzina
abbondante di lunghe interviste tra Videolina e l’Unione Sarda.
Me lo vedo, con l’occhio sveglio che lo
contraddistingue, annunciare il progetto epocale che porterà lavoro e benessere
all’Isola realizzando una galleria di una settantina di chilometri sotto il
Gennargentu, trovando il modo di smontare e rimontare una cinquantina di
nuraghi e di dare congrui contributi alle cooperative che dovranno sorvegliare
i conci di basalto smontati durante l’esecuzione delle opere perché nessuno se
li rubi.
I sindaci? Farebbero a gara per essere coinvolti
nel progetto: «Passate da noi!» urla uno; «No, passate da noi!» risponde
l’altro e giù botte da orbi, testate, bombe, fucilate e tutto il repertorio
sardo che chiamiamo normalmente discussione serena e democratica, i metodi millenari che ci caratterizzano come persone
accomodanti e disposte alla serena mediazione.
A chi mi accusa di essere antisardo,
suggerisco un’occhiata al passato prossimo, alle opportunità gettate via quando
si potevano far debiti in allegria confidando nella parolina magica che ultimamente
ha perso smalto: crescita. La Sardegna ha visto arrivare un generoso
torrente di denaro destinato, sulla carta, allo sviluppo di infrastrutture
moderne e industria, ma noi l’abbiamo interpretato più o meno così: costruiamo
un sacco di robaccia inutile e affidiamoci al mattone, poi si vedrà, tanto i
soldi, come sono arrivati ieri, arriveranno anche domani.
Come leggere diversamente lo stato
miserando delle infrastrutture e dell’industria? Ce ne siamo impipati tutti,
ecco com’è andata, perché tra un proclama e l’altro è comodo vivere con una
pensioncina di invalidità e l’impiego comunale, provinciale, regionale, statale
o apparentemente privato, ottenuti, spesso e volentieri, con la compravendita
del voto.
Paesaggio? Ma non diciamo sciocchezze: abbiamo
fatto del nostro meglio per distruggerlo, lottizzando selvaggiamente le coste
per agevolare il meccanismo perverso di investimento nel mattone, un buco nero
che ha inghiottito il risparmio senza generare il minimo sviluppo. Tanto ce ne
freghiamo che, in occasione della querelle Tuvixeddu, non c’è stato un solo intellettuale, giornalista, politico che
abbia provato a domandarsi se non ci sia in atto un sistema viziato che
immobilizza la ricchezza dentro il cemento armato, e se non sia questo a
causare l’inutile cementificazione dell’Isola (e di Cagliari in particolare).
Ambiente? Ma non ci ricordiamo il caso
ALSAR (prima che cambiasse nome una mezza dozzina di volte diventando
finalmente ALCOA)? Quanti accettarono serenamente gli «indennizzi» per le emissioni
dello stabilimento? Tutti gli interessati, senza eccezioni, tutti contenti di
guadagnare senza fatica svendendo il territorio affinché si inquinasse
tranquillamente in cambio della possibilità di passare le giornate al bar a
svolgere l’attività che preferiamo e per la quale andiamo famosi: bere birra
Ichnusa!
Futuro? Se va bene, manovali, perché le
scuole sono una fetecchia e comunque, se non si è figli di una professione, non
c’è modo di potervi accedere: stiamo ricreando le corporazioni medievali e le
dinastie.
Qualcuno si è mai lamentato?
In definitiva ci siamo venduti per mezzo
secolo, contentissimi di farlo perché è comodo vivere sapendo che alla fine del
mese arriverà il piatto di lenticchie, poche e monotone, ma sicure.
Abbiamo allevato la nostra classe
dirigente in funzione di questo: del posticino, dell’accozzino, delfavorino, del contributino, tutti felici di votare per
l’amico più capace di essere il furbetto che sa costruirsi la propria personale
corte dei miracoli.
Non so cosa accadrà al movimento NO-TAV,
le utopie hanno vita breve, né credo che una valle alpina possa davvero opporsi
agli interessi in gioco dietro questo enorme affare. Dentro c’è tutto: la
politica, le professioni, le grandi aziende di costruzioni (Cooperative
incluse) le banche, la mafia in tutte le sue articolazioni: che ne possono
poche decine di migliaia di persone che esprimono il proprio dissenso con così
tante e tali ragioni?
Eppure sono certo che da questa vicenda
sia possibile imparare una lezione: che a volte ha senso scegliere la strada
apparentemente più difficile e irrazionale. Sarebbe così semplice, da parte
loro, abbandonarsi all’inevitabile (che pure è chiaro) cercando di lucrare il
massimo ottenibile: soldi, opportunità, vantaggi. Normalmente si chiama pragmatismo
e lo si pratica correntemente per giustificare le peggiori nefandezze.
Per ora, nella Val di Susa è prevalso
qualcos’altro e forse è accaduto perché i valsusini si sono riconosciuti, prima
di ogni altra cosa, una comunità, categoria in disuso, oggi, e successivamente
si sono dichiarati indisponibili alla compravendita di sé stessi.
E noi, sardi coraggiosi e balentes, saremo
mai capaci di piantarla di vendere le chiappe per due soldi pensando ad un TAV
in salsa campidanesa?
[Il link originale dell'articolo: http://exxworks.wordpress.com/2012/03/06/il-tav-in-salsa-campidanesa/]
[Il link originale dell'articolo: http://exxworks.wordpress.com/2012/03/06/il-tav-in-salsa-campidanesa/]
Condivido ogni singola parola.
RispondiEliminaUn saluto da un gruppo di Sassaresi d.o.c.
RispondiElimina