mercoledì 6 marzo 2013

UNA DIVERSA LETTURA DEL SULCIS di Norma Baldino



Carbonia, 2 marzo 2013

Gentile lettore,

sono una dottoranda di 27 anni in Sociologia di Carbonia, che, passo dopo passo, si è conquistata da sola quello che pensava essere un traguardo impossibile in un contesto economicamente e socialmente svantaggiato come quello del Sulcis. Sono riuscita a realizzare, uno dopo l'altro, i miei sogni, scoprendo che essere nata nel Sulcis non è una colpa, ma può essere motivo di orgoglio. Per questo vorrei utilizzare questa lettera per mostrare che questa volta la tv italiana sulla vicenda Sulcis si sta sbagliando.

Nei giorni subito successivi alle elezioni politiche, e alla vittoria del M5S nel Sulcis come partito maggiormente votato, alcune trasmissioni - in particolare una molto nota in onda su La7 - hanno parlato di interrogativi sul futuro, di problemi, e di sforzi necessari per salvare la nostra Provincia da un baratro che, i rappresentanti ospitati in diretta per raccontarlo, dimostrano di non conoscere a pieno.

Scrivo queste righe con la precisa intenzione di raccontarti una storia un po' più precisa rispetto a quella che sono costretta a sentire negli ultimi giorni, con la speranza che possa avere un piccolo spazio di ascolto. Una storia vera e che conosco quasi a memoria perché sono figlia di questa crisi di cui tanto si parla.

E permettimi di precisarlo, non si tratta del racconto di una persona che vuole apparire attraverso gesti populisti e ridicoli, che straccia le bandiere di un sindacato e minaccia di incatenarsi; è il racconto di una persona che esige il rispetto che merita la sua Terra e la sua comunità; è il racconto di una persona che nonostante l'impossibilità economica ha deciso di investire le sue capacità, il suo bagaglio culturale, nel proprio futuro e nella speranza di metterlo a disposizione per la sua Terra. E credimi, in questo momento mi sento portavoce di tanti miei conterranei.

La mia, caro lettore, è una Terra abituata da tanto tempo alle lotte per la sopravvivenza.

La prima risale alla metà degli anni Cinquanta, quando l'organico delle miniere, composto da 18.000 lavoratori, si ridusse a poche migliaia. E a quel tempo, da come raccontano tanti nonni, lavorare significava soltanto riuscire a mangiare.

Tutto cambiò nel 1964, con la nazionalizzazione dell'energia elettrica: da quel momento le miniere che producevano carbone, destinato alla combustione, sono state assimilate all'Enel. Con i soldi che Enel dava alla società Mineraria Carbonifera Sarda (MCS) nasceva quello che ancora oggi si chiama Polo Industriale di Portovesme ma che per un'intera generazione significava "occupazione". Con la formazione e l'assunzione di tecnici diplomati e laureati, di operai specializzati tornati dai paesi in cui erano emigrati, e la manodopera locale si formava il nucleo principale del Polo Industriale, costituito da quelle che oggi si chiamano Alcoa, Eurallumina e Portovesme Srl, unite alle imprese d'appalto. I problemi non tardarono a presentarsi; mentre gli impianti producevano, le imprese d'appalto diedero inizio ai primi licenziamenti: la prima impresa coinvolta fu la Metallotecnica Sarda, la maggiore società composta da 800 operai che presero parte alla costruzione del Polo Industriale. In quegli anni iniziarono le vere lotte operaie del Sulcis: nel '72 la prima occupazione servì ad opporsi ad alcune normative aziendali; nel '78, pensa, dopo un mese e mezzo di lotta, gli operai ridussero a 400 gli 800 licenziamenti intimati; e l'ultima, nell'88, che non riuscì a scongiurare la cassa integrazione e la chiusura totale dell'impresa. Tutto questo, puoi ben capire, si tradusse in dispersione di manodopera qualificata e, per alcuni, troppo sindacalizzata. Ciò che resta oggi, nel 2013, è la Portovesme Srl: un'azienda di 1000 dipendenti che produce zinco e piombo, utilizzando non più come materia prima i minerali estratti dal nostro territorio, ma gli scarti di lavorazione delle acciaierie. Dai primi anni Settanta al 2013 si racchiude un'intera generazione; si racchiude un ciclo lavorativo di 40 anni che ha insegnato tanto al nostro territorio: da una parte l'assenza di un'imprenditoria locale in grado di verticalizzare il prodotto, e dall'altra ha insegnato, alla nostra generazione, il significato della parola "lottare".

Una parola questa, "lottare", che viene male incarnata da coloro che vedo apparire nei vari servizi televisivi: si tratta di dipendenti delle imprese d'appalto, ai quali si aggiungono i lavoratori in cassa integrazione di Alcoa e Eurallumina; 1500 persone, la cui lotta si limita alla frase "non vogliamo perdere il nostro posto di lavoro" e "non vogliamo che il Sulcis muoia".

Vedi, la mia lotta non si limita al mio posto di lavoro, perché purtroppo, insieme ad altre 44.000 persone, io un lavoro non lo ho. Le lotte della mia Terra, di mio nonno minatore, mio padre cassintegrato quando io avevo 3 anni, mi hanno insegnato tanto e mi hanno fatto aprire gli occhi verso un futuro che è diverso dalla parola "zinco" "fabbrica" e "inquinamento". La storia della mia Terra ha insegnato a me, e alla mia generazione, a lottare per il diritto allo studio nella Provincia più povera d'Italia, per il diritto alla salute, e alla dignità sociale. Il Sulcis che viene raccontato dalla tv in questi giorni, attraverso esponenti ormai politicamente schierati, è un Sulcis che esiste in parte, costruito attraverso la strumentalizzazione politica; un Sulcis dove soltanto chi può salvare il proprio singolo posto di lavoro può alzare la voce; un Sulcis in cui chi getta fango su qualsivoglia persona e amministrazione non rischia mai nulla.

Io conosco un Sulcis diverso: conosco persone che non si limitano a pensare al singolo, ma pensano alla comunità, conosco un Presidente della Provincia che nel mese di novembre incontrava i Ministri Barca e Passera per firmare un ultra finanziamento che suggellava le proposte di Sviluppo per il Piano Sulcis iglesiente; che pensava a investire quei danari nella salvaguardia del Polo Industriale attraverso la riqualificazione; che pensava a nuovi scenari per il Porto Industriale, a nuove infrastrutture e al recupero degli approdi minerari - destinati anche allo sviluppo del turismo - perché la mia Terra, a differenza di altre parti della Sardegna, non è ricca solo di spiagge e sole, ma di siti archeologici su cui puntare per il turismo.

Caro lettore, tu senz'altro non meriti che io mi rivolga a te per sfogare la mia rabbia, ma molti sulcitani sì. Perché mi arrabbio quando sento dire che Grillo è stato l'unico a parlare con gli operai, mentre il nostro Presidente parlava con i fatti nel Consiglio Provinciale (e veniva proprio contestato da quelle persone che oggi appaiono in tv), al contrario di Grillo, che durante il comizio a Carbonia diceva: "al Sulcis serve un'alternativa, non so quale sia, ma serve". Così come lo meritano tanti altri sulcitani che la pensano come me, perché insieme dovremmo iniziare a far sentire la nostra voce, per rivendicare la nostra storia e quello che è nostro, fieri del nostro percorso: perché noi difendiamo un futuro vero, non un singolo posto di lavoro.

Norma Baldino

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