Carbonia, 2 marzo 2013
Gentile lettore,
sono
una dottoranda di 27 anni in Sociologia di Carbonia, che, passo dopo
passo, si è conquistata da sola quello che pensava essere un
traguardo impossibile in un contesto economicamente e socialmente
svantaggiato come quello del Sulcis. Sono riuscita a realizzare, uno
dopo l'altro, i miei sogni, scoprendo che essere nata nel Sulcis non
è una colpa, ma può essere motivo di orgoglio. Per questo vorrei
utilizzare questa lettera per mostrare che questa volta la tv
italiana sulla vicenda Sulcis si sta sbagliando.
Nei
giorni subito successivi alle elezioni politiche, e alla vittoria del
M5S nel Sulcis come partito maggiormente votato, alcune trasmissioni
- in particolare una molto nota in onda su La7 - hanno parlato di
interrogativi sul futuro, di problemi, e di sforzi necessari per
salvare la nostra Provincia da un baratro che, i rappresentanti
ospitati in diretta per raccontarlo, dimostrano di non conoscere a
pieno.
Scrivo
queste righe con la precisa intenzione di raccontarti una storia un
po' più precisa rispetto a quella che sono costretta a sentire negli
ultimi giorni, con la speranza che possa avere un piccolo spazio di
ascolto. Una storia vera e che conosco quasi a memoria perché sono
figlia di questa crisi di cui tanto si parla.
E
permettimi di precisarlo, non si tratta del racconto di una persona
che vuole apparire attraverso gesti populisti e ridicoli, che
straccia le bandiere di un sindacato e minaccia di incatenarsi; è il
racconto di una persona che esige il rispetto che merita la sua Terra
e la sua comunità; è il racconto di una persona che nonostante
l'impossibilità economica ha deciso di investire le sue capacità,
il suo bagaglio culturale, nel proprio futuro e nella speranza di
metterlo a disposizione per la sua Terra. E credimi, in questo
momento mi sento portavoce di tanti miei conterranei.
La
mia, caro lettore, è una Terra abituata da tanto tempo alle lotte
per la sopravvivenza.
La
prima risale alla metà degli anni Cinquanta, quando l'organico delle
miniere, composto da 18.000 lavoratori, si ridusse a poche migliaia.
E a quel tempo, da come raccontano tanti nonni, lavorare significava
soltanto riuscire a mangiare.
Tutto cambiò nel 1964, con la nazionalizzazione dell'energia elettrica: da
quel momento le miniere che producevano carbone, destinato alla
combustione, sono state assimilate all'Enel. Con i soldi che Enel
dava alla società Mineraria Carbonifera Sarda (MCS) nasceva quello
che ancora oggi si chiama Polo Industriale di Portovesme ma che per
un'intera generazione significava "occupazione". Con la
formazione e l'assunzione di tecnici diplomati e laureati, di operai
specializzati tornati dai paesi in cui erano emigrati, e la
manodopera locale si formava il nucleo principale del Polo
Industriale, costituito da quelle che oggi si chiamano Alcoa,
Eurallumina e Portovesme Srl, unite alle imprese d'appalto. I
problemi non tardarono a presentarsi; mentre gli impianti
producevano, le imprese d'appalto diedero inizio ai primi
licenziamenti: la prima impresa coinvolta fu la Metallotecnica Sarda,
la maggiore società composta da 800 operai che presero parte alla
costruzione del Polo Industriale. In quegli anni iniziarono le vere
lotte operaie del Sulcis: nel '72 la prima occupazione servì ad
opporsi ad alcune normative aziendali; nel '78, pensa, dopo un mese e
mezzo di lotta, gli operai ridussero a 400 gli 800 licenziamenti
intimati; e l'ultima, nell'88, che non riuscì a scongiurare la cassa
integrazione e la chiusura totale dell'impresa. Tutto questo, puoi
ben capire, si tradusse in dispersione di manodopera qualificata e,
per alcuni, troppo sindacalizzata. Ciò che resta oggi, nel 2013, è
la Portovesme Srl: un'azienda di 1000 dipendenti che produce zinco e
piombo, utilizzando non più come materia prima i minerali estratti
dal nostro territorio, ma gli scarti di lavorazione delle acciaierie.
Dai primi anni Settanta al 2013 si racchiude un'intera generazione;
si racchiude un ciclo lavorativo di 40 anni che ha insegnato tanto al
nostro territorio: da una parte l'assenza di un'imprenditoria locale
in grado di verticalizzare il prodotto, e dall'altra ha insegnato,
alla nostra generazione, il significato della parola "lottare".
Una
parola questa, "lottare", che viene male incarnata da
coloro che vedo apparire nei vari servizi televisivi: si tratta di
dipendenti delle imprese d'appalto, ai quali si aggiungono i
lavoratori in cassa integrazione di Alcoa e Eurallumina; 1500
persone, la cui lotta si limita alla frase "non vogliamo perdere
il nostro posto di lavoro" e "non vogliamo che il Sulcis
muoia".
Vedi,
la mia lotta non si limita al mio posto di lavoro, perché purtroppo,
insieme ad altre 44.000 persone, io un lavoro non lo ho. Le lotte
della mia Terra, di mio nonno minatore, mio padre cassintegrato
quando io avevo 3 anni, mi hanno insegnato tanto e mi hanno fatto
aprire gli occhi verso un futuro che è diverso dalla parola "zinco"
"fabbrica" e "inquinamento". La storia della mia
Terra ha insegnato a me, e alla mia generazione, a lottare per il
diritto allo studio nella Provincia più povera d'Italia, per il
diritto alla salute, e alla dignità sociale. Il Sulcis che viene
raccontato dalla tv in questi giorni, attraverso esponenti ormai
politicamente schierati, è un Sulcis che esiste in parte, costruito
attraverso la strumentalizzazione politica; un Sulcis dove soltanto
chi può salvare il proprio singolo posto di lavoro può alzare la
voce; un Sulcis in cui chi getta fango su qualsivoglia persona e
amministrazione non rischia mai nulla.
Io
conosco un Sulcis diverso: conosco persone che non si limitano a
pensare al singolo, ma pensano alla comunità, conosco un Presidente
della Provincia che nel mese di novembre incontrava i Ministri Barca
e Passera per firmare un ultra finanziamento che suggellava le
proposte di Sviluppo per il Piano Sulcis iglesiente; che pensava a
investire quei danari nella salvaguardia del Polo Industriale
attraverso la riqualificazione; che pensava a nuovi scenari per il
Porto Industriale, a nuove infrastrutture e al recupero degli approdi
minerari - destinati anche allo sviluppo del turismo - perché la
mia Terra, a differenza di altre parti della Sardegna, non è ricca
solo di spiagge e sole, ma di siti archeologici su cui puntare per il
turismo.
Caro
lettore, tu senz'altro non meriti che io mi rivolga a te per sfogare
la mia rabbia, ma molti sulcitani sì. Perché mi arrabbio quando
sento dire che Grillo è stato l'unico a parlare con gli operai,
mentre il nostro Presidente parlava con i fatti nel Consiglio
Provinciale (e veniva proprio contestato da quelle persone che oggi
appaiono in tv), al contrario di Grillo, che durante il comizio a
Carbonia diceva: "al Sulcis serve un'alternativa, non so quale
sia, ma serve". Così come lo meritano tanti altri sulcitani che
la pensano come me, perché insieme dovremmo iniziare a far sentire
la nostra voce, per rivendicare la nostra storia e quello che è
nostro, fieri del nostro percorso: perché noi difendiamo un futuro
vero, non un singolo posto di lavoro.
Norma Baldino
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