Si è svolta ieri a Bologna una grande manifestazione di migranti per chiedere l’abrogazione della legge Bossi-Fini che ormai da più di 10 anni ha ulteriormente peggiorato le condizioni di vita di tanti immigrati, ha appesantito le procedure per l’ottenimento del permesso di soggiorno, nonché i costi, ha introdotto un sistema chiuso e intollerante, in cui si rischia di essere rimpatriati per insufficienza di reddito o per la perdita del lavoro, un sistema di falsi asili politici, in cui non c’è posto per chi scappa da una guerra e della miseria.
Sono partiti in centinaia da Piazza XX Settembre: lavoratori, precari, disoccupati, donne, studenti, immigrati e non, per far sentire la propria voce e denunciare la situazione di milioni di persone la cui unica “colpa” è quella di non essere nati in una terra in cui comunque vivono, lavorano e pagano le tasse.
La manifestazione è stata organizzata dal Coordinamento Migranti Bologna, un collettivo politico nato nel 2004, formato da migranti e italiani uniti contro lo sfruttamento, il razzismo, la politiche di precarizzazione del lavoro, la devastante Bossi-Fini, dalla quale poi traggono forza le recenti riforma Gelmini, legge Fornero e progetto Profumo; un razzismo inteso non solo come discriminazione ed esclusione, ma un razzismo che viene definito “istituzionale” o “di Stato”. Si parla di razzismo istituzionale quando politiche, norme e prassi amministrative perpetuano, rinforzano o producono la disuguaglianza e il malessere sociale di minoranze svantaggiate. Se atteggiamenti razzisti sono imputabili a certe leggi e pratiche istituzionali, l’istituzione è razzista sia se gli individui che mantengono queste pratiche hanno intenzioni razziste, sia se non le hanno. Il razzismo istituzionale viene denominato anche “razzismo di Stato” a causa del fatto che è perpetuato da organi, agenti e funzionari dello Stato, oppure come “razzismo democratico” poiché ne sono responsabili non solo i regimi totalitari e dispotici, ma anche gli stati democratici che operano delle deroghe ai principi di uguaglianza e giustizia che li vincolerebbero.
In una situazione di crisi economica come quella che sta attraversando l’Italia si è costretti ad accettare qualsiasi condizione lavorativa, qualsiasi salario, con il risultato - leggiamo nel comunicato stampa del Coordinamento - «che chi ha raccolto i profitti del razzismo istituzionale sono stati solo i padroni. Non accettiamo che con la scusa della crisi ci dicano sempre che non c’è scelta: con questa scusa vogliono solo farci tacere e dividerci. Noi invece vogliamo scegliere!».
Attualmente
per un extracomunitario l’ottenimento del permesso di soggiorno per
motivi lavorativi è molto costoso ed è subordinato al suo reddito,
nel senso che se non si supera una certa soglia di reddito annuale
non viene rinnovato, e vincolato anche ai contratti di lavoro e anche
questo diventa un problema in quanto la maggior parte degli immigrati
hanno contratti di lavoro di breve durata, stipulati con le agenzie
interinali e le cooperative, le quali hanno costi piuttosto bassi e
sfruttano il lavoro dell’immigrato. L’ultima sanatoria si è
rivelata un flop totale, anzi una vera e propria truffa, in quanto
basata su criteri di reddito quasi impossibili da raggiungere, ed
estremamente rischiosa col risultato che in tanti hanno perso i
propri soldi, che non vengono restituiti in caso di rigetto della
richiesta. Con il diniego del permesso di soggiorno si rischia di
essere espulsi, in quanto privi di documenti quindi clandestini. Una
visione utilitaristica dell’immigrato che viene considerato come
merce e sfruttato o espulso a seconda delle esigenze di mercato.
Spesso,
inoltre, i permessi vengono concessi per la durata brevissima di sei
mesi, e spesso, a causa di una burocrazia inefficiente, ci sono tempi
d’attesa talmente lunghi che talvolta vengono consegnati quando
ormai sono prossimi alla scadenza o talvolta già scaduti, nonostante
il permesso di soggiorno sia un mero atto amministrativo la cui
emissione richiede un massimo di 20 giorni. Tanti immigrati ormai
hanno dovuto lasciare il paese anche dopo aver soggiornato per anni
ed aver costruito la propri vita in Italia, perdendo quindi tutti i
contributi versati.
La
protesta vede come oggetto anche la chiusura dei famosi Centri di
Identificazione ed Espulsione (ex CPT), istituiti per far soggiornare
temporaneamente gli immigrati sottoposti a decreto d’espulsione o
respingimento che poi verranno accompagnati alla frontiera, che nella
realtà si traducono in strutture fatiscenti, poco razionali,
inefficienti e antieconomici, nonché vere e proprie prigioni e
luoghi di morte e di privazione di diritti. Anche “Emergenza Nord
Africa”, la cui terza proroga scadrà il 31 marzo, si è rivelato
un progetto fallimentare e dimostra, ancora una volta, l’incapacità
dello Stato Italiano di portare avanti progetti di accoglienza e
integrazione.
“Oggi,
però, noi migranti abbiamo ricominciato a sognare.
Abbiamo
accumulato forza dentro e fuori i posti di lavoro, abbiamo lasciato
alle spalle la paura e abbiamo preso parola insieme. Sappiamo che non
siamo soli, al nostro fianco ci sono i nostri figli che vogliono la
cittadinanza per liberarsi dalle catene del permesso di soggiorno.
Sappiamo che con noi ci sono operai e precari, donne e uomini: perché
sanno che la Bossi-Fini con il suo razzismo è una legge che divide e
indebolisce tutti i lavoratori, italiani e migranti”.
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